Idris El Omari, marocchino di 22 anni, ha chiesto la maglia numero 5, «quella di Zidane al Real Madrid». Marcelo Pincini, argentino di 25 anni, ha scelto la numero 16, «come Aguero, il mito del Manchester City». Ibrahim M., un sudanese di 32 anni scappato dalla guerra di Libia, punta ancora più in alto. «Il mio idolo è Messi, ma non sono un originale. Quasi tutti i miei compagni vorrebbero essere come lui». Quattro fari illuminano il campo di allenamento, alla periferia di Feltre. «Passa a destra poi punta alla porta. Vai, vai, vai». Dialetto veneto, italiano, inglese e altre lingue arrivate da mezzo mondo si mescolano nel campo da calcio sotto il monte Grappa. Se si esponessero le bandiere di tutti i giocatori, sarebbero necessari undici pennoni. Quattordici dei ventotto calciatori tesserati alla Porcenese Calcio, torneo Csi, sono infatti nati in terre lontane, dall´Argentina alla Macedonia, dall´India al Gambia, dalla Polonia all´Albania. «In un mondo normale – dice il presidente della squadra, Marco Zanella, 25 anni – il fatto di avere mezza squadra di stranieri non dovrebbe fare notizia. Ho solo messo assieme i ragazzi della mia frazione, Porcen, e altri dei paesi vicini. Marocchini, indiani e macedoni e tanti altri sono qui da anni, a lavorare in campagna e soprattutto nelle fabbriche. È dunque normale avere una squadra con tanti colori. Abbiamo messo su un campo da calcio un pezzo di quella società dentro la quale già viviamo. Un gruppo come il nostro può essere una provocazione solo per chi fa finta di non conoscere la nuova realtà».
Porcen ha 350 abitanti in tutto, una chiesa, un bar e un´osteria, e la sagra di Santa Barbara, a dicembre, dove con “Indovina il peso” puoi vincere un maiale. «Abbiamo fatto – dice il presidente, un ragazzo laureato in mediazione linguistica che lavora come impiegato in un´azienda metalmeccanica – tutto in regola. Ci siamo iscritti al campionato Csi, pagando 560 euro. Abbiamo cercato un campo e qui sono iniziati i problemi. Nessuno voleva darcelo. Forse pensavano – io sono buono – che una squadra tutta nuova avesse problemi a pagare. Alla fine il campo l´abbiamo trovato a Feltre, 55 euro a partita. Volevamo fare delle amichevoli, prima del campionato, ma non è stato facile. L´abbiamo chiesto a 12 squadre e solo 2 hanno detto sì. Siamo già impegnati, dovevate dircelo prima… Il fatto è che quando si gioca nel campionato non possono dire no, altrimenti perdono la partita a tavolino. Quando possono scegliere un´amichevole, la Porcenese viene dimenticata. E non certo perché siamo troppo forti: in classifica siamo settimi, su dieci squadre».
Non è facile la vita di una squadra arcobaleno nel Nordest dove «”el leon che magna el teron” – dice Marco Zanella – non è solo un ricordo del passato». «”Paròni a casa nostra” è ancora una parola d´ordine. E se giri nei bar (solo nel centro storico di Feltre ce ne sono 50, e chiudono invece teatri e cinema) nei mercati, nelle piazze, senti anche di peggio: negro de merda, teron del casso… Per fortuna, quando entri in campo, trovi un mondo diverso. Quando arrivi e aspetti di entrare nello spogliatoio, ci guardano un poco perplessi. “E questa sarebbe la squadra di Porcen della val feltrina?”. Poi si gioca e si è soltanto 11 giocatori contro 11. Il razzismo, almeno per ora, resta fuori dal prato verde».
Anche a Porcen l´inizio non è stato facile. «Quando abbiamo deciso di fare gli sponsor della squadra – raccontano Silvia Turrin e Rosemarie Prenot, le ragazze dell´Osteria la Pergola – qualche cliente ci ha detto: ma cosa c´entra Porcel con questi marocchini e macedoni? Poi hanno visto questi ragazzi tutti assieme, a bere un bicchiere dopo l´allenamento, e hanno detto: che belli, finalmente un po´ di gioventù. E sono anche forti in campo». Mille euro dall´osteria, per comprare due divise a testa, maglia, calzoncini e calzettoni. Il prossimo anno ci sarà anche un altro sponsor, la pizzeria Il Castegner. Così si potranno comprare le tute. Borse e scarpe sono a carico dei giocatori, che pagano anche 60 euro all´anno per l´iscrizione. «Ma c´è anche chi non può pagare – dice il presidente – ed entra comunque nella squadra». Lamin B., 24 anni, è un rifugiato politico. Nato in Gambia è scappato in Libia, perché suo padre è un oppositore del regime. «Quando è scoppiata la guerra anche lì, sono venuto in Italia, su un barcone. Vivo con Ibrahim, anche lui rifugiato, in un appartamento della Caritas. Esco solo per andare a scuola di italiano e per giocare a calcio. È bello stare assieme agli altri, avere una divisa da calciatore e per qualche ora pensare solo al pallone. Quando sono in casa riesco a pensare solo a mio padre, che è scappato in Senegal e al fatto che, se torno in Gambia, rischio di essere ucciso».
I ragazzi sul campo di allenamento rincorrono anche i loro sogni. Ervin Lika, albanese di 27 anni, ha una piccola impresa edile e spera di trovare «anche clienti italiani». Idris El Omari, il marocchino, ha un diploma di aiuto cuoco e spera di trovare un posto di lavoro. Marcelo l´argentino dice che altre tre squadre lo hanno chiesto ma lui ha scelto la Porcenese. «Ci sono ragazzi di tutto il mondo, si impara di più. Se potessi diventare bravo come Messi… Anche la metà andrebbe bene». I fari del campo illuminano ancora ragazzi che giocano a calcio. Non stranieri.
La Repubblica 06.05.12