Nella scuola media del rione Parco Verde di Caivano, Napoli, disponibili 17 cattedre a tempo indeterminato. La preside va a prendere i ragazzi con la sua auto. Solo due iscritti. Era necessario uno scatto d’orgoglio. Costruire una trincea, decidere di indossare l’elmetto e accettare di combattere. Perché nella «banlieue» dei deportati del sisma dell’80, dove i guaglioni dello spaccio improvvisano spericolati rodei in sella agli scooter, tra falansteri di vetrocemento verde marcio, orridi, fatiscenti e senza fogne perché c’è il sospetto che siano stati utilizzati per tombare i bidoni tossici arrivati dal Nord, la «Raffaele Viviani» era un raggio di luce. Una speranza. Invece la Regione Campania ha deciso che quello in corso sarà l’ultimo anno scolastico per la scuola media del Parco Verde di Caivano, dove la preside, per combattere la dispersione, i ragazzi li va a prendere casa per casa con la sua Peugeot ammaccata che tutti hanno imparato a riconoscere in questi vialoni lunghi, dritti e senza nomi. Eugenia Carfora, bionda, minuta, un fascio di nervi che è un concentrato di energia, rabbia civile e determinazione, si dice «perdente, ma non vinta». Ma, in fondo alla battaglia che ha combattuto, resta la forza devastante diun esempio che ha squarciato montagne d’indifferenza, quando di non aperta diffidenza. Tra i palazzoni di questo gigantesco lager sorto ai margini della Nola – Villa Literno, la superstrada costruita col cemento delle ditte che rispondevano ai Casalesi, molti genitori stanno con lei, con la preside che cita don Milani: «La mia scuola deve essere come la sua capanna, deve restare sempre aperta e non escludere nessuno». Conquistati da cinque anni di lotte durissime controcorrente che la burocrazia regionale ha cancellato con una delibera. Quella che prevede lo scioglimento della «Viviani», che la Carfora ha trasformato in istituto modello con aule multimediali e laboratori didattici all’avanguardia, nell’altra scuola media di Caivano, la «Papa Giovanni». Firmato: Caterina Miraglia, docente universitaria in aspettativa, assessore alla pubblica istruzione della Giunta Caldoro. Il motivo? Quest’anno i nuovi iscritti alla «Viviani» sono stati due. Sì: due soltanto, che hanno fatto salire a 70 il numero complessivo dei ragazzi che frequentano le sei classi. Frequentano è una parola grossa: la preside Carfora sfoglia i registri e compila velocemente la sua statistica. Il tasso di diserzione medio è attestato sui 55-60 giorni l’anno. Ma ci sono ragazzi che, l’anno scorso, hanno messo insieme anche 100 assenze. Alla «Viviani» anche i professori sono di passaggio: dei diciotto componenti il corpo docente, solo uno è di ruolo. Gli altri sono supplenti. I diciassette contratti a tempo indeterminato disponibili non li ha voluti nessuno: troppo impegnativo, troppo stressante dover fare gli insegnanti e gli educatori al tempo stesso. Perché chi arriva alla «Viviani» direttamente dai palazzoni della vergogna controllati discretamente dalle vedette della camorra, prim’ancora di essere istruito, ha bisogno di essere educato a sentirsi parte di una comunità con leggi e regole da rispettare. «La maggior parte di questi ragazzi – spiega la preside – è diventata adulta in fretta. Hanno alle spalle famiglie complicate, molti genitori sono giovani e troppi hanno avuto, e hanno tuttora, problemi con la giustizia. Dicono che queste situazioni non ricadono sui ragazzi,ma è quella l’aria che respirano a casa». Quando arrivò, nel settembre del 2007, la preside Carfora trovò la «Viviani» in condizioni disastrose. Gli spazi esterni erano invasi dalle erbacce, e dentro era anche peggio: gli arredi erano stati ricavati da materiali di risulta, non c’erano banchi a sufficienza per tutti i ragazzi, l’archivio era sottosopra. Con l’aiuto dei suoi collaboratori, è arrivata a ridipingere personalmente le aule. Ora, a meno di ripensamenti da parte della Regione, si avvicina il fine corsa, stabilito sulla base di un misero calcolo ragionieristico. Per scongiurarlo, la preside ha lanciato un appello al governo: «Se il problema sono io, vado via subito. Ma voglio che questa scuola resti così com’è. Per quello che mi riguarda, lascerei anche domani, se avessi la certezza che chiunque verrà dopo di me continuerà a lottare per i miei ragazzi, affinché loro possano avere un’altra chance: una vita dignitosa lontana dall’illegalità ». Pare che il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, sia rimasto molto colpito. Non è esclusa una sua visita al Parco Verde.
L’Unità 06.03.12