Siamo in fondo alle classifiche universitarie mondiali anche qui, ma cresceremo. «Dobbiamo sprovincializzarci», dice il ministro dell´Istruzione Francesco Profumo, «aprire i nostri atenei agli studenti e ai professori stranieri». In mano trattiene il dato degli studenti foreigner che frequentano le 66 università pubbliche italiane e le 18 private riconosciute. Sono 63 mila studenti stranieri in tutto, su un milione e 750 mila iscritti. Il 3,6 per cento. «Troppo pochi, l´Italia ha bisogno di contaminazione». La media degli stranieri nelle università dei paesi industrializzati è del 10%, nel Regno Unito gli immigrati per studio sono uno ogni cinque.
Il ministro Profumo ha da poco lasciato la guida di un Politecnico di Torino che negli ultimi sei anni – sfidando interrogazioni parlamentari – ha chiuso corsi in italiano per riaprirli in inglese, ha tolto tasse a chi li frequentava e attratto, grazie all´uso crescente della lingua inglese, una poderosa comunità da Pechino. Oggi sono 797 i cinesi aspiranti ingegneri. Due settimane fa il Politecnico di Milano, che ha realizzato un progetto integrato con l´Università Jiao Tong di Shanghai e ospita 516 giovani stranieri provenienti da 114 paesi, ha annunciato che dal 2014 tutti i corsi di laurea magistrale, il biennio, saranno completamente in lingua inglese. Le spiegazioni saranno in inglese, così i libri di testo, le slide da mostrare a lezione, quindi gli esami. Dottorati e lauree specialistiche da tempo sono in inglese, e non solo qui. Ci vogliono insegnanti con una conoscenza linguistica di livello, una buona esperienza all´estero: il rettore Giovanni Azzone ha annunciato infatti un investimento di 3,2 milioni per richiamare da università internazionali 120 “visiting professor”, 30-35 post-dottorati e 15 docenti associati. «I nostri studenti devono essere spendibili sul mercato del lavoro mondiale, vogliamo attrarre le persone migliori dall´Italia e dall´estero». Al Politecnico di Milano sono previste borse di studio per chi andrà fuori. Si vuole attrarre dall´estero e spingere all´estero, ecco: internazionalizzare le nostre università.
La Bocconi nel 2001 introdusse la prima laurea in International economics and management e oggi ha medie di accoglienza-studenti da Regno Unito. La Sapienza di Roma, 6.500 stranieri per la facoltà più grande d´Europa, ha corsi “in english” in Medicina e Farmacia. Il rettore della Luiss Massimo Egidi ha impegnato diverse “mission” per costruire un ponte universitario tra Roma e Nuova Delhi e grazie al rapporto di Confindustria con i produttori del petrolio ha calamitato diversi universitari dagli Emirati Arabi. A Udine si stanno varando lezioni in russo e lo studio della Filologia cinese prevede l´apprendimento di quella lingua. Sono partiti corsi in inglese totale o parziale a Macerata, a Cagliari, a Bari. L´Università di Trento si è messa nel solco degli atenei tedeschi e francesi e offre doppia laurea per un mercato del lavoro doppio. «Un diploma viene emesso dal nostro ateneo, un secondo da un´università di un altro paese convenzionata dove lo studente dovrà studiare almeno due anni», spiega il rettore Davide Bassi. E Marco Gilli, al comando del Politecnico di Torino: «Il nostro corso di Automotive engeneering è realizzato in inglese, in collaborazione con la Fiat e con l´università canadese di Windsor. Sta crescendo la partecipazione dei ragazzi italiani».
Gli studenti cinesi crescono del 10 per cento l´anno, la comunità più alta in Italia resta però quella albanese. Le facoltà più richieste sono Economia, Medicina, Ingegneria e Lettere. Il ministero, per questa che considera una priorità, sta avviando il nuovo portale “Study in Italy”: indicherà borse di studio possibili e indici di prestazione della singola facoltà quando fino a ieri offriva la ricetta della pizza napoletana e i consigli per evitare i borseggi sui bus. Quindi, ha ampliato l´accordo con l´Università di Cambridge. «A settembre ci saranno esami in inglese in Francia e negli Stati Uniti, in Brasile, Russia, India e Cina: gli studenti stranieri potranno sostenere il test di accesso in inglese nel loro paese e usarlo per l´accesso a un´università italiana».
La Repubblica 03.03.12