“La riforma elettorale non potrà nascere dall’intesa esclusiva Pdl-Pd”, di Stefano Folli
La riforma elettorale costituisce, come è noto, uno straordinario «evergreen» del dibattito politico. Un tema che non tramonta mai e anzi risorge dalle sue ceneri a cadenze regolari: senza portare quasi mai a decisioni utili, tant’è che abbiamo ancora la legge elettorale Calderoli, il cosiddetto “porcellum”, approvata da una maggioranza di centrodestra più di sei anni fa. Nessuno in questo arco di tempo ha voluto o potuto modificarla: nemmeno il centrosinistra di Prodi che governò fra il 2006 e il 2008 in base proprio al “porcellum” e si guardò dal riformarlo. E oggi? La scena è cambiata, in apparenza. Il governo tecnico di Monti sta rimodellando il sistema politico per il solo fatto di esistere. E i partiti devono adeguarsi alla nuova realtà, come li ha più volte sollecitati il capo dello Stato. Sulla carta la riforma della legge elettorale dovrebbe arrivare al termine di un processo di rinnovamento complessivo delle istituzioni (bicameralismo, numero dei parlamentari, poteri del premier, eccetera). In pratica non è così: è più facile e conveniente, nonostante tutto, cercare (almeno cercare) …