"La coerenza di un "no" responsabile", di Luigi La Spina
Dopo la riforma delle pensioni e in vista di quella sul mercato del lavoro, la decisione di Mario Monti di non firmare la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020 conferma e rafforza soprattutto l’impressione di una notevole discontinuità rispetto agli abituali metodi di governo. Di fronte a ben quattro mozioni, favorevoli a una scelta opposta, da parte dei partiti che lo sostengono in Parlamento, dopo una pioggia di appelli per il «sì» di sportivi, intellettuali e imprenditori, davanti a una potente lobby che ha esercitato fortissime pressioni, Monti ha evitato di seguire la strada più conveniente e, certamente, la più comoda. Quella di sostenere la candidatura di Roma, ben sapendo che, al «Comitato internazionale olimpico», i delegati avrebbero quasi certamente preferito Istanbul o Tokyo per la sede di quei Giochi. Sarebbe stato un modo per non scontrarsi con la sua maggioranza, non deludere il Coni e i promotori, non suscitare le proteste del sindaco della capitale e non subire le critiche di chi vedeva nell’Olimpiade romana un’occasione di sviluppo economico nazionale e, magari, …