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"Serve più ricerca per valutare i risultati scolastici", di Benedetto Vertecchi

Promuovere in Italia una cultura valutativa è una condizione per modernizzare il sistema educativo, avvertita soprattutto per la suggestione esercitata da quanto sta avvenendo altrove. L’attenzione che nel dibattito internazionale è stata rivolta ai dati delle grandi rilevazioni comparative ha spinto a considerare come modello di riferimento per la valutazione quello utilizzato dall’Ocse per il Programme for International Student Assessment (Pisa). Non ci si è chiesti se le ipotesi elaborate per condurre rilevazioni comparative, come quelle dell’Ocse, potessero essere assunte, sic et simpliciter, per sviluppare l’attività valutativa in uno specifico sistema scolastico. È così avvenuto che anziché cercare di definire una strategia che tenesse conto delle caratteristiche proprie della scuola italiana, si siano acquistati dall’Ocse servizi valutativi variamente derivati dalle procedure Pisa. C’è da chiedersi con quale vantaggio per il nostro sistema educativo. Certo con lo svantaggio di aver rinunciato a un’elaborazione autonoma, specificamente collegata a un disegno di sviluppo dalla cultura valutativa in Italia.
Quest’atteggiamento subalterno non è giovato neanche ad assicurare la qualità della partecipazione nazionale alle rilevazioni internazionali, che si è limitata a eseguire le operazioni richieste da comitati di esperti nei quali la presenza italiana è stata marginale. La diffusione delle graduatorie risultanti dalle singole rilevazioni è stata seguita da reazioni abbastanza rituali, da bar sport. Non ci sono state iniziative utili per sviluppare l’analisi dei dati al fine di ricavarne elementi utili per individuare i punti di debolezza (ma anche di forza) del nostro sistema educativo. Si è fatto di peggio, organizzando rilevazioni a carattere nazionale che sono la brutta copia di quelle internazionali e ne riproducono, impropriamente, la logica. Si può capire, infatti, che le rilevazioni comparative siano sostanzialmente rivolte a cogliere la distribuzione di variabili dipendenti (ovvero dei risultati dell’attività educativa), anche se con attenzione alle condizioni in cui nei diversi paesi si sono svolti i processi che sono all’origine di quelle distribuzioni. Non si capisce, invece, a che serva riproporre la medesima logica nell’attività valutativa che si svolge a livello nazionale. Dobbiamo continuare a porre in evidenza il divario Nord e Sud? O le differenze d’apprendimento che si riscontrano in scuole frequentate da allievi di condizione sociale diversa?
Il fatto è che la ripetitività delle pratiche valutative è la conseguenza del mancato sviluppo di una ricerca autonoma. Si finisce col confondere in un unico calderone l’attività valutativa rivolta a verificare il raggiungimento di livelli attesi con quella, assai più importante per sostenere l’assunzione di decisioni consapevoli, tesa a identificare le variabili indipendenti, quelle che hanno conseguenze sul modo in cui il sistema scolastico svolge il suo compito d’istruzione. Il fatto è che una valutazione orientata alle variabili indipendenti suppone un impegno per la ricerca la cui necessità è ben lontana dall’essere avvertita. Non serve stracciarsi le vesti perché i nostri allievi sono in fondo alle graduatorie sulla capacità di comprensione della lettura o sulle abilità matematiche, se nessuno è in grado di porre in relazione la loro competenza verbale con l’affermarsi di modelli di comunicazione antagonisti a quelli propri della scuola o di definire un quadro degli apprendimenti che è presumibile possano costituire un riferimento duraturo per apprendimenti ulteriori e di quelli che, per quanto rilevanti al momento, è improbabile che continuino a esserlo nel seguito.
Un’altra ragione per sviluppare la ricerca consiste nel superare la dipendenza da procedure valutative che si finisce con l’utilizzare per mancanza di proposte alternative. Per esempio, nell’area anglofona si stanno sviluppando strumentari automatici per l’analisi di protocolli verbali. È evidente che quelle procedure non saranno, se non parzialmente, utilizzabili per valutare documenti in lingua italiana. Già al momento le prove utilizzate nelle rilevazioni nazionali sono piuttosto datate. L’intervallo con lo stato dell’arte non potrà che accrescersi nei prossimi anni.
Per sviluppare un’attività valutativa capace di concorrere a migliorare la qualità delle decisioni sul sistema scolastico c’è bisogno sia di rendere continua la rilevazione di dati descrittivi (è il compito che può svolgere l’Invalsi), sia di promuovere la ricerca: per soddisfare questa esigenza c’è bisogno di soluzioni organizzative specifiche, non rivolte a fornire un servizio (come l’Invalsi), ma ad accrescere la conoscenza interna al sistema.

Il Sole 24 Ore 27.02.12