Le sentenze si rispettano. Sempre. Sia quando esaudiscono un´aspettativa, sia quando la frustrano. Promanano dai tribunali della Repubblica, dunque da un potere riconosciuto dalla Costituzione. Per questo, anche la sentenza che ha salvato Silvio Berlusconi dalla condanna per il caso Mills merita rispetto. Ciò non toglie che anche questa, come molte altre che l´hanno preceduta, sia l´ultima ferita allo Stato di diritto. L´ennesino salvacondotto “ad personam”, che ha permesso all´ex presidente del Consiglio di sottrarsi al suo giudice naturale. I luogotenenti della propaganda arcoriana sono già all´opera. Raccontano la solita favola, che purtroppo abbiamo imparato a conoscere in questi quasi vent´anni di eclissi della ragione. «È finita la folle corsa dei pubblici ministeri», esulta Ghedini. «La persecuzione è fallita, ho subito oltre 100 processi e sono stato sempre assolto», ripete il Cavaliere. Manipolazioni e mistificazioni, ad uso e consumo di un´opinione pubblica narcotizzata e di un´informazione addomesticata.
La prima bugia. La corsa dei pm non è stata affatto «folle». Nella vicenda Mills, come la sentenza della Corte di Cassazione ha già certificato nell´aprile 2010, confermando sul punto le due precedenti pronunce di primo e secondo grado, è scritto nero su bianco: Berlusconi fu il «corruttore» dell´avvocato inglese, che ricevette 600 mila dollari per testimoniare il falso nelle inchieste sui fondi neri depositati nelle società offshore della galassia Mediaset. Ora sarà necessario aspettare il deposito delle motivazioni, ma anche quest´ultima pronuncia del tribunale di Milano riconferma quell´impianto accusatorio.
Mills fu corrotto dal Cavaliere, come il pm Fabio De Pasquale, tutt´altro che folle, ha tentato di dimostrare in questi cinque lunghi anni di processo. E se il Cavaliere non subisce la condanna che merita, questo non accade perché «non ha commesso il fatto», o perché «il fatto non sussiste», come prevedono le formule di assoluzione piena. Ma dipende solo dal fatto che il reato è prescritto. E non è prescritto per caso. Le irriducibili tattiche dilatorie della difesa da una parte, le insopportabili pratiche demolitorie del governo forzaleghista dall´altra, hanno “cucito” la prescrizione sulla figura dell´ex premier.
Qui sta la seconda bugia. Berlusconi ha subito finora non 100 processi, ma 17. Di questi 4 sono ancora in corso: diritti Mediaset, Mediatrade, Ruby e affare Bnl-Unipol. Di tutti gli altri, solo 3 si sono conclusi con un´assoluzione, per altro con formula dubitativa. Tutti gli altri 11, compreso l´ultimo sul caso Mills, si sono risolti grazie alle norme ad personam che lo stesso Berlusconi, usando il pugno di ferro del governo, ha imposto al Parlamento per fuggire dai processi, invece che difendersi nei processi. Depenalizzazione dei reati di falso in bilancio (da All Iberian alla vicenda Sme-Ariosto), estensione delle attenuanti generiche (dall´affare Lentini al Consolidato Fininvest), riduzione dei tempi della prescrizione (dal Lodo Mondadori al caso Mills, appunto). Sono tante le “leggi-vergogna” con le quali il presidente-imputato è intervenuto nella carne viva dei suoi processi, per piegarne il corso e l´esito in suo favore.
Anche la sentenza di ieri, dunque, è il frutto avvelenato di questa scandalosa semina berlusconiana. Un irriducibile cortocircuito tra istituzioni. Un insostenibile conflitto tra poteri. L´esecutivo militarizza il legislativo per sottomettere il giudiziario. Quella stagione, per fortuna, è politicamente alle nostre spalle. Ma i danni collaterali, purtroppo, continuano a scuotere il Paese. In una destra ormai popolata di anime perse, ma non per questo meno irresponsabili, c´è già chi vede in questa prescrizione processuale l´occasione di un riscatto politico per il Cavaliere. Questa sì, è una vera follia.
L´incubo berlusconiano l´abbiamo già attraversato, e continuiamo ancora a pagarne il prezzo sulla nostra pelle e con le nostre tasche. A chi oggi continua a protestare a vanvera per il “golpe in guanti bianchi” di Mario Monti, bisognerà ricordare che se in Italia c´è stato davvero un ciclo di “sospensione della democrazia”, l´abbiamo vissuto con il governo del Cavaliere. Non certo con quello del Professore.
La Repubblica 26.02.12
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L´ex premier e le carte “Lui è il corruttore”, di PIERO COLAPRICO
Intorno al Palazzo di Giustizia di Milano deserto, solitaria e silenziosa cammina una signora, che ha appeso sulla schiena un cartello di protesta: «David Mills il corrotto colpevole, Silvio Berlusconi il corruttore innocente?». E questo è, cartello e sarcasmo a parte, il punto centrale della questione, «dimenticato» sempre, in tutti questi anni, dai fedelissimi berlusconiani. Basta però un dettaglio minimo degli attacchi di Silvio Berlusconi e dei suoi per portarci dentro una verità essenziale del caso Mills. Riguarda Fabio De Pasquale, il pubblico ministero. Considerava quella prescrizione, decretata ieri, come «una disgrazia» ed è stato accusato di aver avviato una «folle corsa» contro il tempo per far condannare Berlusconi. Folle corsa? Davvero? Analizziamola: che cos´ha fatto in concreto De Pasquale?
Ha ottenuto a suo tempo – anni fa – la condanna, valida sino alla Cassazione, dell´avvocato inglese David Mills, e cioè dell´ex-coimputato di Berlusconi. Mills – questi i semplici fatti – aveva confessato davanti a De Pasquale, e a un altro collega, accompagnato dal legale di fiducia, un reato: aver intascato 600mila dollari come regalo dal mondo berlusconiano. Regalo in cambio di che cosa? Di aver taroccato le testimonianze che doveva rendere in due processi: quelli che sfioravano – e Mills era un drago dei paradisi fiscali e dei soldi estero su estero – la questione dei ricchissimi fondi occulti Finivest. Si chiama corruzione giudiziaria, questo tipo di reato, ed è gravissimo.
L´uomo di Stato, l´imprenditore, il miliardario Berlusconi, di fronte al caso Mills, che cosa ha fatto (ultimi lunghi anni compresi)? Ha forse denunciato Mills come mitomane? Ha difeso il suo onore portando la sua documentazione bancaria? Macché. Si è opposto a ogni rogatoria e se l´è filata dal banco degli imputati. Nel senso che Mills, senza la protezione politica delle leggi ad personam, è andato incontro al suo destino, la condanna. Lui no.
Ma quando la Corte costituzionale ha bocciato le leggi ad personam, e Berlusconi non poteva non presentarsi in aula, anche in aula ha taciuto, rifiutando qualsiasi interrogatorio, qualsiasi spiegazione mentre i suoi avvocati (e onorevoli Pdl) adottavano una strategia a volte da lumache, a volte da arpie, con attacchi ai giudici, togliendosi persino la toga per protesta. C´è una pubblicità sul gioco d´azzardo che ha questo slogan: «Ti piace vincere facile, eh?». Sembra la perfetta sintesi dei fatti di Silvio Berlusconi nel processo Mills.
De Pasquale, dunque. Con tutti i suoi difetti, che cosa ha cercato di fare di «folle» questo pubblico ministero mentre ingobbiva sulle carte? Semplice: voleva far processare due persone allo stesso modo, come chiedono (auspicano) le democrazie e le Costituzioni. Dimostrare che, se c´era un corrotto, Mills, c´era un corruttore, Berlusconi. E come non l´ha fatta franca uno non poteva, né doveva farla franca l´altro, perché truccare i processi è un fatto grave.
Se De Pasquale abbia o no raggiunto la prova della colpevolezza di Berlusconi, è una risposta che emergerà nella sentenza, quando verrà depositata, ma come magistrato, con le sue rogatorie testarde, con l´analisi dei documenti, più che una folle corsa per ottenere la condanna ha resistito giocando «pulito» anni e anni, tra ritardi non certo voluti da lui. Viceversa, Berlusconi ha soprattutto lavorato per impedire che si discutesse dei fatti sulla sua colpevolezza o innocenza. E, in extremis, ha raccontato che Mills, dopo averlo tirato in mezzo «perché non sapeva chi altro nominare», è stato folgorato dalla verità: perché quei maledetti 600mila dollari – una miseria per Berlusconi, un «grosso casino» per il fisco inglese – ci sono, ma erano stati regalati all´avvocatone delle Isole Cayman da un altro italiano, e cioè dall´armatore napoletano Diego Attanasio. Ora, in Italia, non pochi imprenditori farebbero un favore a Berlusconi, ma Attanasio non poteva fantasticare in aula su conti che non esistevano nelle carte: «A Mills ho solo pagato parcelle», ha ribadito in aula Attanasio, settimane fa.
Ma a Berlusconi non importa, perché nell´aula del processo Mills sonnecchiava a volte con ostentazione. È più facile dire che c´è stata una «folle corsa» a condannarlo, dipingersi come massimo martire della giustizia italiana, tutto pur di evitare domande e contestazioni. Non lo fa mai, in aula. Forse perché teme altri processi che incombono, soprattutto quello spinosissimo che riprende domani, il «Ruby-Silvio». Perché qui non ci sono solo i conti e gli avvocati, ma la carne e il sangue che pulsa, e l´abuso di potere in varie forme. Molte delle menzogne di Silvio Berlusconi sulle «cene eleganti» sono, tra l´ilarità e lo sdegno, già naufragate. Com´è già naufragata in aula, nell´ultima udienza, pure l´assurda parentela tra Karima El Mahroug, marocchina, invitata minorenne ad Arcore nel 2010, e l´ex presidente egiziano Moubarak.
Nel processo Ruby-Silvio, infine, è bene sapere che la prescrizione per l´imputato unico scatta ben oltre il 2020. E con gli interrogatori i pubblici ministeri Ilda Boccassini e Antonio Sangermano sono, si sa, piuttosto rapidi ed efficaci. Viene da chiedersi: chissà se De Pasquale vorrà assistere alla sentenza del processo Ruby, un giorno. E chissà se Berlusconi, almeno una volta in vita sua, risponderà.
La Repubblica 26.02.12