Da tutte le regioni del Sud sono arrivate a Napoli lo scorso fine settimana centinaia di donne – amministratrici parlamentari, sindacaliste, esponenti dell’associazionismo- per discutere intorno ad alcune parole chiave (lavoro, welfare, legalità, democrazia) di nuovo sviluppo e buona politica con l’ambizione di rilanciare una proposta per la ricostruzione, per chiudere definitivamente la stagione del berlusconismo e avviareun ciclo riformatore nel Paese. L’occupazione femminile al Sud è inferiore di 30 punti percentuali agli obiettivi fissati a Lisbona, meno di una su tre lavora. Il tasso di attività femminile si è ridotto, cioè si è prodotto un allontanamento delle donne disponibili a lavorare, soprattutto di quelle con basso titolo di studio. A un’occupazione modesta quasi sempre corrisponde una retribuzione
insufficiente a compensare il lavoro domestico a cui si dovrebbe
rinunciare per lavorare in un contesto di servizi insufficienti o
assenti. Per questo un numero sempre più alto di donne sceglie di restare a casa. La flessibilizzazione del lavoro in atto negli ultimi anni ha dato vita ad un’area estesa di instabilità occupazionale che nel sud è diventata ampia, persistente e diffusa. I nodi centrali che frenano la partecipazione femminile sono di tipo strutturale e sono legati alla domanda di lavoro e alla carente offerta di servizi. Nessuna riforma può eludere questi dati drammatici, che ci dicono che puntare alla crescita vuol dire leggere il Sud come parte di una grande questione nazionale e insieme assumere il punto di vista, le potenzialità ed i problemi delle donne. Non si tratta di problemi di parte – geografici, di genere o anche generazionali – ma di istanze che chiedono di rimodulare complessivamente la strategia e la qualità dello sviluppo, puntando anche sulle infrastrutture immateriali, su una robusta quota di beni comuni, rilanciando la costruzione di un welfare moderno (pensiamo al caso degli asili nido e di quanto sarebbe necessario che questi investimenti uscissero dal patto di stabilità), lavorando sulle condizioni non economiche dello sviluppo, sul terreno dei diritti, della legalità, della sicurezza.
La crisi non è un incidente di percorso, ma il frutto diuna impostazione sbagliata, di riforme mancate, degli errori della destra. Serve una strategia complessiva che possa combattere la recessione e rilanciare l’occupazione ripensando a modelli alternativi e differenti di vita e di consumo. Non c’è una bacchetta magica,ma ci possono essere azioni utili a sostenere il lavoro ed il welfare. Le donne hanno pagato il prezzo della crisi e delle politiche della destra e stanno sostenendo i costi del risanamento. Per questo sarebbe importante che il governo affronti il capitolo del lavoro delle donne, a partire dal Mezzogiorno, attraverso la convocazione di un tavolo con le forze sociali, sindacati, enti locali e aprendo una grande discussione politica.
Perché non provare a costruire una vera conferenza nazionale
sul lavoro delle donne in grado di andare oltre le analisi e capace di offrire strumenti concreti capaci di aggredire il nodo dell’occupazione?
Noi mettiamo a disposizione le nostre proposte. A noi, alla politica ed ai partiti, spetta il compito di accompagnare, orientare e costruire partecipazione e consenso intorno a questo processo, recuperando innanzitutto credibilità e reagendo così al clima di antipolitica che si è diffuso nel Paese, e che è parte essenziale di quella crisi di sistema che stiamo vivendo. Questo è possibile investendo sul rafforzamento di meccanismi trasparenti di partecipazione e decisione politica, sul processo democratico di selezione e rinnovamento dei gruppi dirigenti, su una politica che ritrovi la sua capacità di rappresentare l’interesse generale del Paese.
Proprio a partire da territori nei quali non è raro che intere amministrazioni siano prive di presenza femminile, diciamo che per rinnovare la politica e la qualità della rappresentanza dobbiamo scommettere sulle donne. L’impegno uscito da Napoli è chiaro: che nella legge elettorale di cui si discute siano contenute norme e sanzioni per affermare la presenza femminile, che venga in fretta approvata la legge licenziata dalla Commissione affari costituzionali che contiene la doppia preferenza di genere per i Comuni e che si dia seguito attraverso una legge all’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione che impone che la vita interna dei partiti sia regolata da quel metodo democratico così importante per le donne.
Il metodo democratico richiamato e richiesto dalla nostra carta
costituzionale infatti non può che riguardare anche il tema di una
presenza paritaria nei partiti e nelle istituzioni. È un traguardo che può essere raggiunto cominciando a fare passi significativi in avanti a partire da regole stringenti e conseguenti sanzioni per chi non candida e non elegge donne nelle assemblee rappresentative e negando il riconoscimento di personalità giuridica a chi non prevede una presenza paritaria nei propri organismi.
Su questi temi continueremo a discutere nelle diverse regioni del
mezzogiorno per collegare sempre meglio il lavoro che stiamo facendo alle singole realtà territoriali (vorremmo preparare una prossima tappa di questo viaggio al Nord) favorendo una partecipazione sempre più diffusa.
Vogliamo attraversare questa difficile fase di passaggio e di ricostruzione del Paese segnandola con la nostra forza e il nostro pensiero.
L’Unità 26.02.12