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“Il nemico occidentale”, di Gilles Kepel

Le violenze che da cinque giorni scuotono l´Afghanistan dopo che nella base militare americana di Bagram alcune copie del Corano sono state bruciate per errore, possono sembrare assolutamente paradossali da uno sguardo occidentale. Dopo tutto, i Paesi della Nato che hanno inviato donne e uomini a morire in Afghanistan, attraversando per questo gravi crisi politiche interne e sopportando un notevole costo economico, hanno cercato di ricostruire un Paese devastato dalla dittatura dei Taliban.Nella visione occidentale è paradossale che l´incenerimento incidentale di opere seppur sacre possa tradursi in manifestazioni violente e nell´omicidio di quelli che sono stati mandati in quel Paese per ristabilire la pace.
L´episodio può ora provocare un incendio ancora più vasto in tutta l´area, come accadde già per altre vicende legate a libri: basti ricordare la scia di sangue seguita oltre venti anni fa alla pubblicazione dei Versetti satanici di Salman Rushdie. L´attuale contesto regionale è infatti estremamente teso. S´intuiscono i preparativi di un più vasto conflitto, successivo alle rivoluzioni arabe e di cui la prima tappa potrebbe svolgersi intorno al Golfo Persico nel caso che l´Iran sia attaccato da una coalizione formata da Israele, gli Stati della penisola arabica e i Paesi occidentali, con diverse modalità ma con l´obiettivo comune di far cadere il regime al potere a Teheran. D´altra parte, si ricevono ogni giorno notizie di massacri ad Homs e i Paesi occidentali, appoggiati da governi della penisola arabica, tra cui Qatar e Arabia Saudita, fanno pressione per accelerare l´uscita di Bashar al Assad.
L´alleanza tra l´Occidente, guidato dagli Stati Uniti, e il processo di democratizzazione nel mondo arabo è oggi molto più complicato di quel che sembrava qualche mese fa, quando da Washington, a Parigi e Roma si era diffuso allora l´entusiasmo per la rivoluzione di Twitter e Facebook, con la convinzione che gli arabi erano diventati esattamente come noi, avidi di diritti e libertà, e che Osama Bin Laden e Al Qaeda erano solo un vecchio incubo, ormai scacciato via da un nuovo risveglio. In realtà, negli sconvolgimenti che attraversano i paesi arabi e, per effetto di rimbalzo, il resto del mondo, è in gioco appunto la relazione con l´Occidente, tesa e complessa. In Egitto, ad esempio, delle Ong americane e tedesche che incoraggiavano la democrazia sono state chiuse da un apparato militare che non vuole lasciare potere. Il processo al Cairo contro i responsabili di queste Ong è stato il pretesto per una rinnovata propaganda nazionalista da parte di alcuni dirigenti politici legati ai militari, cercando così di superare nei toni i fratelli musulmani e i salafiti che hanno vinto le elezioni. Anche in Tunisia si registrano segnali preoccupanti, sebbene non ancora nella stessa intensità che altrove. Le diverse forze che all´interno del mondo arabo e musulmano tentano di assumere il controllo dell´immensa transizione in corso, vogliono colpevolizzare o sminuire i propri avversari, accusandoli di essere alleati degli americani e dell´Occidente, non più percepiti come sostegno della democrazia ma come antichi alleati dei precedenti regimi dittatoriali, cleptocrati e anti-islamici.
I primi beneficiari delle manifestazioni in corso in Afghanistan sono ovviamente i Taliban. Ma la cristalizzazione delle proteste intorno all´accusa di profanazione del Corano è un´opportunità per mobilitare ben al di là della loro tradizionale base. Ne ho avuto la dimostrazione in Tunisia, due giorni fa, osservando da vicino un corteo organizzato dai salafiti contro una televisione tunisina accusata di deturpare la loro immagine. Eppure, dietro alle bandiere e ai proclami, ho visto che gran parte dei manifestanti non erano salafiti ma semplici persone che chiedevano un ricambio in un´emittente che ha conservato gli stessi dirigenti e giornalisti dai tempi di Ben Ali. I salafiti, in pratica, erano stati capaci di intercettare una richiesta più vasta di liberalizzazione dell´informazione e dei media. Così in Afghanistan, intorno a una manifestazione radicale, si riesce a mobilitare una base molto più ampia in nome della difesa della libertà e dell´identità, individuando come nemico comune gli Stati Uniti e l´Europa. Ricordiamoci che quando in Tunisia è stato diffuso il film “Persepolis”, nel quale l´iraniana Marjane Satrapi mette in scena un dialogo con Dio, ci sono state violente proteste dei salafiti contro l´Occidente, riunendo folle molto più numerose dei loro abituali raduni. Nel mondo musulmano esiste oggi una forte suscettibilità. Anche una piccola scintilla può mettere fuoco alle polveri. È bene rammentare che l´intervento in Libia che ha evitato l´invio di truppe a terra si è concluso con un certo successo, mentre in Iraq e Afghanistan dopo una conclusione positiva delle operazioni militari si sono verificate delle catastrofi politiche. Ed è per questo che la prospettiva di un intervento militare in Siria appare come un incubo assoluto per tutte le cancellerie occidentali.

La Repubblica 26.02.12