Sono cento giorni di virtù e di potenza, con i tic d´inglese che sostituiscono il briffare della Minetti con la cloud computing, la nuvola dei dati; al posto del nerd e del geek di Publitalia qui arrivano la spending review e la “gestione in house”. E ci sono pure le guasconate berlusconesche: «diamoci un taglio!», «diventeremo un modello per l´Europa». Torna, infine, il politichese doroteo ma solo per definire «rimodulazione delle aliquote di accisa» il rincaro della benzina. Of course.Mario Monti, con una retorica che ricorda la funesta lavagna di “Porta a Porta”, ha raccontato sul sito web della presidenza del Consiglio i suoi primi cento giorni come, da Franklin Roosevelt in poi, fanno solo i presidenti americani. Ma non c´è niente di più italiano del “tu vo´ fa l´americano” e ciascun Paese ha i suoi simboli e le sue cabale: da noi i cento giorni rimandano, come vedremo, a destini diversi dal new deal.
Ma così va nell´Italia all´inglese: con l´e-governement e le smarts communities «l´Italia è più forte», «finalmente il Mediterraneo unisce», «il cittadino entra nel governo», e sono previste meraviglie per «le metropolitane delle grandi città», «le reti idriche del Mezzogiorno», «il sistema ferroviario del Sud», «l´edilizia carceraria», «il processo penale e la politica della sicurezza». Il tutto open date.
Certo, sono stati pesantemente tagliati i costi delle consulenze (99 alla presidenza del Consiglio: chi erano?), l´uso degli aerei di Stato, e tutti gli sprechi del governo più affaristico che mai abbia avuto l´Italia, ma riga dopo riga, il lettore si sente riscaldato dal nuovo benessere, rinfrancato dal «rilancio della crescita», rassicurato dalle «misure per l´equità». Poi un vero disagio dell´abbondanza si è impadronito di me quando ho scoperto che sono stati ridisegnati «porti e trasporti», «è stato facilitato l´accesso alle professioni», «l´Italia è semplificata» e sono stati rilanciati il turismo e persino «gli itinerari enogastronomici». Basta con tutta questa prosperità, mi sono detto. Ci sono troppe delizie! Ci sono persino le gioie domestiche e il piano-vaccini.
È un libro dei miracoli che fa saltare dopo soli cento giorni quel linguaggio della sobrietà operosa che aveva guadagnato a Monti il rispetto spontaneo di tutti noi, tutti in soggezione come scolari davanti al maestro.
Capita ai professori durante l´anno scolastico più severo di svelare un punto debole e di cedere alla vanità e farsi gigioni, abbandonarsi al birignao, esagerare per voglia di seduzione, un po´ come quegli scienziati che, pur di smentire il genio dei geni, hanno fatto correre i neutrini più veloci della luce, poi hanno chiamato i giornalisti e ne hanno dato annunzio (falso) al mondo trasformando così l´errore in orrore: la politica-annuncio è sì promozione e marketing, ma è rischio.
La politica-annuncio, che non è perdere ma prendere tempo, è la propaganda che occupa un altro spazio, è una droga che confonde, inebetisce e rintrona. Certo, Berlusconi si spingeva sino ad inaugurare da Vespa il “futuro” ponte sullo Stretto e tagliava il nastro della futura autostrada Palermo-Monaco. Ma il genere è lo stesso: il governo mette a bilancio dei suoi primi cento giorni «2 miliardi per nuove case per il Mezzogiorno», «la tutela, la gestione e la valorizzazione del sito archeologico di Pompei», «un programma straordinario di modernizzazione della formazione in Sicilia», «la riqualificazione di 1500 edifici scolastici …», la trasformazione di uno dei Paesi più malandati d´Europa in un «Paese modello per l´Europa». È poco più di una finta, ed è la più raffinata delle demagogie, persino simpatica nella sua artificiosità artistica, l´esatto rovescio della famosa gag di Nino Taranto e Totò che si piazzavano davanti a un bar e prendevano le misure di un futuro vespasiano che sarebbe stato – dicevano – sistemato in quel punto. E al proprietario del bar spiegavano che in origine il gabinetto era stato previsto davanti alla macelleria, ma poi il macellaio, anziché protestare, aveva fatto un´offerta per le orfanelle. E ora forse con un´altra offerta.
Non siamo in America e i cento giorni così enfatizzati non evocano la virtù del new deal ma l´eterno manicomio metafisico della solita politica italiana, anche perché nella nostra storia non c´è Roosevelt e i cento giorni sono quelli del “car”, centro addestramento reclute, o quelli degli studenti goliardi che raccolgono soldi per strada, o ancora quelli terribili del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo o, per gli ex giovani della generazione Adelphi, sono quelli di Napoleone, i cento giorni raccontati da Jospeh Roth: dalla fuga dall´Elba sino alla disfatta di Waterloo e all´imbarco per Sant´Elena.
La Repubblica 25.02.12