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"La ricerca è piena di abbagli ma alla fine si corregge sempre", di Marco Cattaneo

La cattiva notizia, se vogliamo, ma già lo si sapeva, è che la scienza può sbagliare. La buona è che il metodo con cui procede è così straordinariamente collaudato che essa stessa riesce a porre rimedio ai propri errori. È questo, d´altra parte, il messaggio del “provando e riprovando” che Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani, allievi di Galileo Galilei, avevano adottato nel 1657 quando fondarono l´Accademia del Cimento: qui “provare” non significa tentare, ma dimostrare, argomentare, e così “riprovare” non sta per ritentare ma per rigettare, scartare le ipotesi che si dimostrano sbagliate. Sarà Popper, molto più tardi, a parlare di “falsificabilità” come limite di demarcazione tra ciò che è scienza e ciò che non lo è. Il cammino della conoscenza scientifica è costellato di errori, a volte terribilmente grossolani, altre volte incredibilmente dannosi. Per secoli, d´altra parte, abbiamo creduto che la Terra fosse immobile al centro dell´universo, e fino a Galileo i nostri antenati credevano che gli oggetti più pesanti cadessero più velocemente. Sempre in quegli anni, il fisiologo britannico William Harvey scoprì che il “motore” della circolazione sanguigna era il cuore, e non il fegato, come si era creduto fino ad allora. Qualche anno più tardi, e per quasi un secolo, per spiegare l´infiammabilità dei materiali si fece ricorso a un misterioso – e inesistente – principio di infiammabilità, il flogisto. La passione per le entità enigmatiche, peraltro, si protrasse fino all´inizio del ´900, quando i fisici cercavano disperatamente prove dell´etere luminifero, l´ipotetico mezzo attraverso il quale dovevano propagarsi le onde elettromagnetiche.
Per arrivare più vicini ai nostri giorni, per decenni nessuno diede grande importanza al Dna, scoperto nel 1869, perché sembrava troppo insignificante per trasportare tutte quelle informazioni. Il vero segreto della vita doveva nascondersi nelle proteine: loro dovevano essere la chiave dell´ereditarietà… Furono Watson e Crick, nel 1953, scoprendone la struttura molecolare, a chiarire che invece era proprio il Dna a contenere tutta l´informazione per produrre un organismo vivente. Frattanto, negli anni venti, veniva commercializzato un farmaco miracoloso che si dimostrava efficace contro un impressionante spettro di patologie. Si chiamava Radithor, e come suggerisce il nome era a base di radio, l´elemento radioattivo scoperto pochi anni prima da Pierre e Marie Curie. Ne furono vendute 400mila confezioni, prima che si scoprisse che il suo consumo in dosi massicce portava alla morte per avvelenamento da radiazioni…
E come non ricordare, più di recente, due scoperte annunciate con grande clamore e poi smentite o rientrate in un limbo da cui ancora non sono uscite. Era il 1989 quando Martin Fleischmann e Stanley Pons, dell´Università dello Utah, annunciavano trionfalmente i risultati dei loro esperimenti sulla fusione fredda, ma molti altri laboratori non riuscirono a replicare i loro risultati. Un anno prima aveva suscitato scalpore la pubblicazione su Nature di un articolo di Jacques Benveniste in cui si descriveva un fenomeno poi passato alle cronache come “la memoria dell´acqua”, che avrebbe appunto conservato traccia delle molecole che vi erano state disciolte. Soltanto una settimana dopo la prestigiosa rivista fece marcia indietro, con un articolo firmato – tra gli altri – dal suo stesso leggendario direttore, John Maddox, in cui si dimostrava che le conclusioni del team di Benveniste erano la conseguenza di errori sistematici, esperimenti mal condotti, selezione dei risultati. E negli ultimi anni il numero delle pubblicazioni ritirate o smentite dalle riviste scientifiche è in crescita vertiginosa.
A ben vedere, però, l´anomalia riscontrata nella strumentazione di Opera, che sembra compromettere i risultati sulla velocità superluminale dei neutrini annunciati in settembre, non ha nulla di paragonabile con nessuno di questi errori. Si può assimilare, piuttosto, a problemi di natura tecnologica, come la saldatura tra due magneti che provocò un´ingente fuoriuscita di elio dal Large Hadron Collider di Ginevra nel 2008 o l´O-ring che causò l´esplosione in volo del Challenger nel 1986 con la morte dei sette membri dell´equipaggio.
E forse è questa la prima riflessione che dobbiamo fare, quando ci accostiamo alla scienza sperimentale dei giorni nostri. Rispetto a un secolo fa, ma anche molto meno, la complessità delle macchine che siamo in grado di costruire è quasi sempre basata su tecnologie radicalmente nuove, per poterci avventurare in territori inesplorati, perché questa è la missione della scienza. Per questo è infinitamente più facile che funzioni il frullatore di casa anziché un colossale acceleratore di particelle. A nostra parziale consolazione, prima o poi sono proprio le procedure della scienza a dirci dove abbiamo sbagliato.

La Repubblica 24.02.12