La riforma del mercato del lavoro come la tela di Penelope. A fare e disfare è sempre Elsa Fornero. Il telaio è sempre basato su grandi principi, su riforme epocali: indennità di disoccupazione universale, forte riduzione e disincentivi alla flessibilità cattiva. Poi, però, quando si entra nel dettaglio non si approda a niente: non ci sono risorse e, soprattutto, le proposte sono fumose, non ci sono dati («si spera di averli giovedì»), nessun numero. Il tutto aggravato dal fatto che la ministra non si degna mai di commentare l’esito degli incontri per fare “sparate” nei giorni successivi, dovendo poi sempre fare retromarcia. E allora ieri il quarto incontro della trattativa, a detta di tutte le parti, è stato «interlocutorio». Riunite per la prima volta nella sala Gino Giugni del ministero del Lavoro a via Veneto, le parti sociali sono rimaste nuovamente deluse dall’atteggiamento della padrona di casa. Sul tavolo aleggiavano le parole appena ribadite da Mario Monti a piazza Affari: «Sia io sia il ministro Fornero siamo molto fiduciosi che entro il termine che ci siamo dati di fine marzo potremo presentare al Parlamento un provvedimento. Lo presenteremo comunque, speriamo di presentarlo con l’accordo delle parti sociali ». La dichiarazione non è una novità, né per il premier né per Fornero. Resta però il fatto di averlo ripetuto a poche ore da un incontro tra le parti. E difatti chi non l’ha presa per niente bene è stato Raffaele Bonanni, il più duro nel rispondere tra i sindacalisti: «È un refrain che inizia a puzzare». Cerca di «vedere il positivo » invece Susanna Camusso che commenta:«Noto che il premier parla sempre più spesso di accordo e questa parola all’inizio della trattativa era sconosciuta». Detto questo, la leader Cgil è stata meno tenera sull’esito dell’incontro: «Usciamo con molti più interrogativi che certezze, sui contratti in ingresso ci sono stati passi indietro». Per Luigi Angeletti «fare una riforma partendo dal presupposto che non deve costare è illogico », mentre per Giovanni Centrella (Ugl) «con questi presupposti meglio lasciare il sistema attuale». Si doveva parlare di ammortizzatori sociali e da qui è partita Elsa Fornero. Sulla tempistica Fornero ha parlato di «autunno 2013», ma sia Camusso che Marcegaglia sono d’accordo sul fatto che sia prematuro fissare una data «a crisi in corso».
I BISTICCI DI ELSA Non sono mancati momenti di tensione. Il primo è stato tutto interno al governo. Si parlava di crisi aziendali ed Elsa Fornero ha tentato più di una volta di avere il conforto di Corrado Passera sulla riforma degli ammortizzatori. Ma il titolare dello Sviluppo economico (e delle centinaia di tavoli per crisi aziendiali) ha declinato l’invito a intervenire: «Oggi il governo parla con una voce sola».Ma la faccia «diceva esattamente il contrario», confida più di un presente. La ministra ha poi bacchettato nuovamente i sindacati che facevano notare come il sistema di ammortizzatori esistente stia funzionando bene. «Ecco, voi difendete sempre l’esistente, io invece guardo avanti, ai giovani e al futuro, non mi posso fermare all’esistente». Il terzo “bisticcio” è stato quello con il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari quando, in conclusione di riunione, si è tornati a parlare di contratti d’ingresso. Mussari, come tutte le imprese che produrranno un documento comune in materia entro giovedì, ha fatto presente di non essere in grado di avanzare delle proposte se prima l’esecutivo non farà chiarezza sulla partita della flessibilità in uscita e, dunque, sull’articolo 18. «Allora lei è poco disciplinato e vuol sapere già il voto finale», ha risposto secca Fornero. Di contratti si parlerà giovedì come di politiche attive del lavoro (incentivi alla stabilizzazione), il primo marzo invece si affronterà il delicatissimo tema della flessibilità in uscita. Sull’articolo 18 ieri c’è da segnalare la presa di posizione direttore generale di Bankitalia, FabrizioSaccomanni, per il quale l’articolo 18 «non è il nodo» della riforma, «ci sono problemi di carattere generale sul funzionamento del mercato che devono essere affrontati in maniera più organica
L’Unità 21.02.12
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“Senza nuove risorse assegno Cigs a metà”, di Massimo Franchi
Ci sono gli ottimisti («Con questi chiari di luna anche la ministra capirà chenon si possono fare le rivoluzioni mondiali e ci verrà incontro con soluzioni più realistiche e vicine all’esistente») e i pessimisti («È troppo convinta dei suoi principi e non ascolta ragioni: andrà avanti come un carro armato»). Su una cosa però sono tutti d’accordo. Se il quadro è quello ribadito anche ieri («La riforma degli ammortizzatori si farà senza risorse pubbliche e senza aumentare il costo del lavoro per le imprese») le cose non potranno andar bene. Per dirla con Susanna Camusso «con una riforma senza risorse ci sarà una diminuzione e non un allargamento delle tutele». Basta prendere gli ultimi dati sugli ammortizzatori e applicare i principi «enucleati» dalla ministra Elsa Fornero. L’idea della ministra è quella anticipata più volte: due pilastri, uno che tuteli il posto di lavoro per un tempo congruo e l’altro che tuteli il lavoratore con un’assicurazione contro la disoccupazione. Le uniche carte scoperte sono sulla volontà di «riportare la cassa integrazione alla sua funzione originaria con una eliminazione di alcune causali come la cessazione di attività e il fallimento », ora contemplate nella Cassa integrazione straordinaria e che invece dovrebbero passare nell’indennità di disoccupazione». La marcia indietro sulla cassa integrazione straordinaria è evidente. Male conseguenze potrebbero essere peggiori soprattutto per i lavoratori. Oggi la Cigs “copre” circa 2,5 – 3 milioni di lavoratori (quelli occupati nelle industrie con più di 15 dipendenti e quelli del commercio sopra le 50 persone) fino a 24 mesi con un assegno pari all’80 per cento della retribuzione, ma con un massimale fissato a 870 euro. Allargandola a tutti i lavoratori dei vari settori si arriverebbe ad una quota di possibili tutelati di circa 12 milioni. Quattro volte tanto. Senza aumentare le risorse e i contributi per l’azienda e mantenendo la stessa durata si rischia di ridurre gli attuali assegni della metà, stima più di un esperto in materia. E con 450 euro al mese è dura andare avanti. Una stima che aumenterebbe a 600 euro considerando un ritorno all’utilizzo di questo strumento a livelli pre-crisi (134 milioni di ore utilizzate nel 2006 contro i 411 milioni del 2011). Sulcapitoloindennitàdi disoccupazione le parole del ministro sono state perfino più preoccupanti. Soprattutto per quanto riguarda la contribuzione figurativa. «Deve essere legata non alla retribuzione ma all’indennità, nello spirito del metodo contributivo». Tradotto: se oggi ai disoccupati vengono versati contributi figurativi rispetto all’ultimo stipendio avuto, con la riforma Fornero sarà rispetto all’importo dell’assegno di disoccupazione, molto più basso. Anche qui le incognite sono comunque tantissime. Tanto che la ministra ha utilizzato espressamente la variabile “x” nel prevedere la durata dell’indennità: «Una settimana ogni “ics” mesi lavorati». Una equazione che porta Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil, a commentare amaro: «Siamo ad un livello di indeterminatezza del tutto antitetico all’idea di chiudere il confronto entro marzo».❖
L’Unità 21.02.12