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"L’eutanasia della sanità", di Adriano Prosperi

Per giorni sul letto senza sponde legata con delle lenzuola, in attesa di essere ricoverata “da un minuto all´altro”: il caso della signora dell´Umberto Primo di Roma ci richiama rudemente alla realtà incivile delle strutture essenziali del nostro paese. Un caso eccezionale? Al contrario: un caso ordinario, ripetitivo, una regola.
Càpita spesso, ha detto Carlo Modini, il dirigente del dipartimento di emergenza del Policlinico; e quanto spesso e quanto diffusamente potrebbe dirlo ogni normale utente dei servizi ospedalieri sulla base della propria personale esperienza. La vicenda romana rientra nella regola generale della drammatica inadeguatezza delle strutture e dei servizi di emergenza italiani: quei servizi che hanno a che fare con i malati, con i poveri, con i carcerati e con tutte le categorie umane di cui può capitare a chiunque di far parte. Si chiamano servizi: la parola ha un senso profondo che richiede di essere considerato e tutelato perché non si rovesci nell´ironia e nel sarcasmo. La dedizione straordinaria con cui infermieri e medici fanno argine alle carenze strutturali dei nostri ospedali nasce da qualcosa che merita davvero il nome di spirito di servizio. Fu San Camillo De Lellis, l´eroe eponimo di un altro ospedale romano, che volle chiamare se stesso e i suoi seguaci col nome di “servitori degli infermi”. Quando una piaga incancrenita lo sottrasse alla sua professione di soldataccio romano, l´esperienza dell´ospedale lo spinse a dedicare la sua vita all´aiuto di chi vi si ricoverava. Era, la sua, una carità elementare: voleva praticare un´assistenza ai corpi malati e bisognosi di cure, di cibo e di letti puliti, di presenza umana soccorrevole e fraterna. Queste erano le cose che gli ospedali di cinque secoli fa offrivano ai bisognosi: e lo facevano a un tale livello di qualità da lasciare ammirati i visitatori stranieri. Ancora oggi ci sono studiosi specialisti fuori d´Italia che dedicano agli ospedali italiani del Rinascimento volumi bellissimi, come quello che ha pubblicato di recente il professor John Henderson di Cambridge. Dunque anche in questo caso abbiamo, come direbbe Joyce, un grande avvenire alle spalle.
Oggi sono ministri del governo quelli che si occupano della materia della sanità. E la dedizione agli infermi è messa in ombra e penalizzata dalla trasformazione del servizio sanitario nazionale in una gigantesca macchina capace di attirare più di ogni altra la fame di potere e di danaro dei partiti e delle corporazioni. La canalizzazione dei finanziamenti in una direzione o nell´altra è stato il grande affare che ha impegnato i poteri maggiori del Paese fin da quando i finanziamenti americani per la ripresa degli ospedali nell´Italia liberata furono la materia governata da due fratelli della famiglia bresciana dei Montini, uno per la Chiesa e l´altro per lo Stato. Ma è il passato recente quello che soprattutto pesa sul nostro presente: pensiamo alle cronache tragiche e indegne degli anni in cui il clamore delle crociate scatenate dai fanatici del partito della vita coprì le follie più sgangherate, quelle che oggi sono riassunte dalla parabola umana ma anche e soprattutto politica di un don Verzé. Meglio dimenticarli, forse: ma bisognerà per dovere civico ricordare che quei clamori fecero passare inosservata la realtà dell´affondamento del sistema sanitario pubblico a colpi di tagli lineari: una vera e propria “eutanasia di Stato”, come l´ha giustamente definita la senatrice Livia Turco.
È in un clima diverso che dobbiamo oggi fare l´inventario del disastro e pensare a come risalire la china. Che il contesto sia mutato lo dice in fondo il fatto stesso dell´eco immediata suscitata dall´episodio verificatosi al pronto soccorso dell´Umberto Primo. Fino all´altro ieri la cronaca dei disservizi ospedalieri sembrava capace solo di inchiodarci a un sentimento di vergogna e di impotenza, mentre all´ombra delle megalomanie del San Raffaele e delle cattedrali della sanità privata si svolgeva l´agonia degli ospedali italiani. Attenderemo con fiducia l´esito dell´ispezione e dei provvedimenti promessi dal ministro della Salute Renato Balduzzi. Anche perché siamo ancora in attesa che dopo i sacrifici arrivi l´equità promessa da questo governo. E non c´è dubbio che il luogo elementare e primario dove ciascuno può misurare quale sia il livello dell´equità offerta dalle strutture di un Paese è quello dell´ospedale come luogo della precarietà fisica, della malattia e della sofferenza.

La Repubblica 21.02.12