Mi ha molto meravigliato questa affermazione, un presidente come Monti non ha bisogno di annunciare che andrà avanti comunque, anche senza accordo con le parti sociali». Per la presidente del Pd Rosy Bindi il capo del governo «potrebbe essere ben più ambizioso, annunciando che riuscirà a fare la riforma del lavoro con i sindacati. Mi sembra questo il vero profilo riformista che serve al governo in questo momento».
Ammetterà che c’è bisogno di una riforma, o no?
«Certo, e chi lo nega. Questo governo ha ricevuto la nostra fiducia per portare il Paese fuori dalla crisi e per fare ciò che è necessario per raggiungere questo obiettivo. Ma non si può pensare che in questo momento l’Italia possa permettersi di approvare importanti riforme strutturali senza la coesione e la pace sociale. Il governo non ha questo mandato. E per una ragione
molto semplice: si esce da una crisi solo con delle riforme condivise, non approvate senza o, peggio, contro qualcuno.E l’essere condivise, almeno per quanto ci riguarda, le rende anche giuste».
Un possibile ostacolo all’intesa riguarda la modifica dell’articolo 18.
Visto che nel Pd è oggetto di discussione, qual è la sua posizione al riguardo?
«Il governo non mi ha convinto sul perché sia così fondamentale toccare l’articolo 18. Preferirei un maggiore impegno su crescita, lotta al precariato, su cosa significhi veramente la flexicurity applicata al mercato italiano in questo momento. Mentre mi è chiaro perché c’è l’articolo 18, non riesco a capire perché non ci dovrebbe essere. E considerato che si tratta di un punto critico per la trattativa, sarebbe auspicabile che fosse accantonato».
Per poi discuterlo alla fine?
«Se non lo si serve alla fine come un piatto che deve essere per forza digerito, forse si possono raggiungere i risultati che stanno a cuore al governo senza toccare l’articolo 18».
Nel Pd si è aperta una discussione anche sul contributo del pensiero cattolico: può aiutare a vincere il liberismo, dice Fassina; non va letto in chiare antiliberista, ha replicato Ceccanti richiamando i documenti della settimana sociale dei cattolici sulla flexicurity. La sua opinione?
«Intanto, inviterei entrambi a non tirare dalla propria parte autorevoli pronunciamenti di Benedetto XVI o del cardinale Bagnasco e la dottrina sociale della Chiesa, che non può essere considerata né un punto d’appoggio per rinvigorire il pensiero socialdemocratico né l’ispiratrice del blairismo o del cosiddetto riformismo di sinistra. Io sono abituata a trattare la dottrina sociale della Chiesa e gli interventi del magistero con molto più rispetto. Più che chiamarli a sostegno delle nostre teorie dovremmo ispirarci ad essi per trovare soluzioni ai problemi del tempo che stiamo vivendo».
Fassina e Ceccanti sbagliano entrambi?
«Hanno fatto discorsi un po’ strumentali. Bene invece se il Pd intende aprire una seria riflessione su questo tema. In questo momento c’è bisogno di rilanciare l’autorevolezza della politica. E il Pd, che è un partito pluralista e quindi deve avere un pensiero pluralista, può trovare anche nella dottrina sociale della Chiesa un’ispirazione per trovare soluzioni politiche ed economico-sociali capaci di combattere la crisi ma soprattutto di aprire un nuovo modo di concepire lo sviluppo, la redistribuzione della ricchezza e perfino la democrazia». Dice Veltroni che con alcuni giudizi critici si rischia di consegnare il governo alla destra: lei cosa dice?
«Che questo governo noi lo abbiamo voluto, non subìto, e lo stiamo sostenendo convintamente. Ha ridato decoro e dignità a questo Paese, e siamo disponibili a un sostegno anche solo per questo, perché si tratta del presupposto perché l’Italia ce la possa fare. Però io non ho paura di consegnare questo governo ad altri. Può anche fare molte cose che faremmo noi, ma non è il nostro governo. Ed è anche bene che non lo sia».
Perché dice così?
«Stiamo vivendo una condizione assolutamente peculiare, e la forza di questo governo sta anche nel fatto che nessuno ci si può identificare totalmente. Non c’è da temere l’alterità del governo nei nostri confronti. Guai se non fosse così, anche per gli altri. Questa alterità è il presupposto per essere noi l’alternativa del domani. Ci stiamo preparando a elezioni in cui non ci candidiamo a fare il tagliando ad una macchina,ad un sistema, che sta arrivando a fine corsa. Ci stiamo preparando a dare al Paese un’altra guida, un altro motore, un’altra idea. Questa alterità va mantenuta nell’interesse di quello che deve fare il governo e di quello che dovremo fare noi».
Il modello di legge elettorale che si sta discutendo, il tedesco corretto con lo spagnolo, va bene da questo punto di vista?
«A dire il vero è un modello che mi preoccupa. Non darà più vita al bipolarismo, ma al multipolarismo, con l’assenza di un partito o di partiti che siano davvero il perno per azioni di governo. Mi preoccupa che si vada verso un sistema in cui forse si restituisce agli elettori il potere di scegliere una parte dei parlamentari, nei collegi uninominali, ma si nega la possibilità di scegliere le forze di governo. La grande conquista, dal Mattarellum in poi, era stata questa. Non si può tornare indietro di vent’anni».
Nel Pd non sembra questa l’opinione prevalente.
«Bisogna capire che se passasse questo modello elettorale saremmo noi a rimetterci più di tutti. Il sistema in discussione è un enorme regalo al centrodestra, che è andato in frantumi, e a un Terzo polo che continua a lucrare da posizioni di non schieramento. La tesi dell’Udc secondo cui servirebbero altri cinque anni così è quanto di meno auspicabile per noi».
Per “noi” Pd?
«No, per noi Paese. Dopo il superamento della crisi bisogna presentare, in chiarezza e limpidezza, una proposta politica. Continuare con un sistema politico ingessato come quello
che oggi sostiene il governo non farebbe bene all’Italia».
L’Unità 21.02.12
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