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“Fassina: «Nel partito è stata votata un’altra posizione». Caro Walter, così ci arrendiamo al pensiero unico”, articoli di Stefano Fassina, Walter Veltroni, Giorgio Tonini e Giuseppe Fioroni

Caro Walter, ti scrivo dopo aver letto la tua intervista oggi a Repubblica, senza alcuno spirito polemico, soltanto nel tentativo di evitare valutazioni politiche fact free. Primo, «la patrimoniale» esiste soltanto nel linguaggio dei media. Al Lingotto non fu proposta una imposta patrimoniale ordinaria universale (su tutte le famiglie) ad aliquota minima e finalizzata a ridurre l’indebitamento netto, come le imposte patrimoniali introdotte dal governo Monti (…). Al Lingotto fu proposta, seppur in termini generici, un’imposta patrimoniale straordinaria, ad aliquota elevata, sul famoso 10% più ricco delle famiglie italiane, finalizzata ad abbattere il debito pubblico di decine di punti percentuali di Pil (…). La corrispondenza tra quanto approvato dal Parlamento a dicembre scorso è come tra il giorno e la notte. Perché il Lingotto viene, ancora una volta, presentato come precursore dell’intervento di Monti? (…) Secondo, le imposte patrimoniali ordinarie universali introdotte dal governo Monti e da te particolarmente apprezzate consistono sostanzialmente di Ici (ora denominata Imu). Dei circa 12 miliardi all’anno raccolti dalle imposte patrimoniali ordinarie approvate, oltre 11 derivano dall’Ici, ossia imposte sulla casa, su tutte le case(…) Sicuro che un governo progressista non avrebbe potuto fare meglio?
In generale, caro Walter, per valutare il tasso di riformismo del governo Monti, dovremmo ricordare che il Decreto «Salva Italia», oltre al brutale ed iniquo intervento sulle pensioni di anzianità, in particolare delle donne, ha introdotto maggiori imposte per circa 40 miliardi all’anno. Oltre all’Ici, si tratta di imposte sui consumi (Iva e accise), Tarsu ed addizionali regionali all’Irpef, le quali, come noto, sono proporzionali, non progressive, sulle relative basi imponibili, quindi colpiscono in misura più consistente i redditi più bassi e medi. A Varese, all’assemblea nazionale di ottobre 2010, all’unanimità abbiamo votato le proposte della segreteria del Pd che, in quanto progressive (e progressiste), vanno in direzione opposta. A proposito, di riforma della politica, la prima regola per un dirigente nazionale sarebbe quella di affermare la posizione del partito di cui è parte. La posizione del Pd sul mercato del lavoro e sull’art.18 è diversa dalla tua, ovviamente legittima, ma minoritaria nel partito (…).
Infine, senza nulla togliere alla funzione positiva finora svolta dal governo, gli esempi da te ricordati soltanto in Italia sono considerati «riformisti». In qualunque altro Paese civile, la lotta all’evasione, la ricostruzione di un decente servizio pubblico radiotelevisivo, l’applicazione senza distorsioni dell’Imu sugli immobili ad uso commerciale delle chiese, sono denominatore comune dell’arco costituzionale. Se il programma del governo Monti è l’orizzonte di una forza progressista come il Pd, allora delle due l’una: o il PdL, che insieme a noi sostiene il governo Monti, è diventato un partito progressista, oppure la tua valutazione è sbagliata. Se fosse giusta, dovremmo essere conseguenti. Alle prossime elezioni il Pd dovrebbe presentarsi insieme al PdL, oltre che al Terzo Polo: una sorta di partito unico del pensiero unico. La fine della politica, non solo della democrazia dell’alternanza.

L’Unità 20.02.12

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“Monti è un riformista non lasciamolo alla destra Basta tabù sull´articolo 18”, Intervista a Walter Veltroni di Curzio Maltese

Sciogliere tutte le correnti del Pd, a cominciare dalla sua. Rilanciare l´iniziativa politica del partito sulle riforme, la lotta alla criminalità e alla corruzione politica, mettendo a frutto il riformismo di Monti per avvicinare la “rivoluzione democratica” che deve essere l´obiettivo del Pd. Cambiare subito la Rai ed escludere i partiti da tutte le nomine degli enti pubblici. Le proposte di Walter Veltroni sono sassi lanciati nello stagno della politica commissariata dal governo dei tecnici, destinate a far discutere anzitutto un Pd ancora imbambolato dalla batosta delle primarie genovesi.
Veltroni, non è un po´ eccessivo definire riformismo la stagione di Mario Monti?
«No. Sono bastati tre mesi per capire che non si tornerà indietro. Circola nel Pd, ancor più nel Pdl, l´idea che questo sia solo un governo d´emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centro destra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni. Ha dimostrato non solo di voler risanare i conti, ma di voler cambiare molto del paese e vi sta riuscendo, con il consenso dei cittadini e dell´opinione pubblica internazionale. La copertina di Time o l´ovazione al Parlamento europeo sono un tributo ad un paese che solo qualche mese fa era guidato da Berlusconi e deriso».
È d´accordo con il governo anche sull´articolo 18?
«Sono d´accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l´Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. Credo che finora il governo Monti stia realizzando una sintesi fra il rigore dei governi Ciampi e Amato e il riformismo del primo governo Prodi».
Non risponde sull´articolo 18.
«Totem e tabù si intitolava un libro di Freud. Ed è perfetto per definire gran parte del discorso pubblico in Italia. Bisogna cambiare un mercato del lavoro che continua a emarginare drammaticamente i giovani, i precari, le donne e il Sud. Ci vogliono più diritti per chi non ne ha nessuno. Questa è oggi una vera battaglia di sinistra».
Quindi, figurarsi se non è d´accordo con la lotta all´evasione, la revisione delle spese militari, l´Ici alla Chiesa.
«Si diceva che questo era il governo delle lobbies e del Vaticano. Come se queste non pesassero nei governi politici. Fatto sta che Monti ha deciso bene sull´Ici per gli immobili della chiesa, sugli F 35, sta facendo bene nella lotta all´evasione, che potrà portare ad una riduzione di pressione fiscale. I blitz a Cortina, Portofino, Sanremo sono segnali forti e chiari. Come lo è stato far pagare per 16 miliardi i possessori di patrimonio. Devo ricordare che quando al Lingotto proposi la patrimoniale nel mio stesso partito ci fu chi si precipitò a dire che non era la posizione del Pd».
Che cos´altro si aspetta dal metodo Monti?
«La sua sfida è la crescita, uno sviluppo di qualità sociale, culturale e ambientale. E poi che consideri priorità la lotta alla mafia, che si sta mangiando mezzo paese, dalla Sicilia a Bordighera, da Reggio Calabria a Milano. Bisogna intervenire subito e stroncare le complicità con una nuova e durissima legge contro la corruzione. Il secondo campo è la Rai. Lo dico dal 2008: la Rai deve avere un amministratore delegato e un cda che si riunisce tre volte l´anno. Sento che ora si vuole limitare il numero dei consiglieri d´amministrazione a cinque, ma con alcuni sempre di nomina parlamentare. È sbagliato. I partiti devono smetterla di nominare persone agli enti pubblici, sia la Rai o l´ultima Asl. I partiti servono a fare proposte e programmi, non nomine. Via dai consigli d´amministrazione».
Chi dovrebbe nominare il prossimo consiglio Rai?
«I presidenti di Camera e Senato, scegliendo fra personalità dell´impresa e della cultura con requisiti adeguati. In questo momento c´è bisogno di un servizio pubblico vero, meno show di quart´ordine e più produzione dell´industria culturale nazionale. E più intelligenza, se la parola qualità spaventa».
Ma se Monti e i suoi professori sono tanto bravi, allora lei, voi, il Pd, i partiti in generale, che ci stanno a fare?
«Il Pd ha il merito di aver fatto nascere questo governo. Ora dovrebbe sfruttare questa immensa occasione per rilanciare un grande programma riformista. Dire agli italiani che non torna nulla del passato, compresi i governi rissosi dell´Unione. Ma il riformismo radicale, la modernità equa che devono affrontare una recessione pericolosa dal punto di vista sociale e democratico».
E invece il Pd che sta facendo?
«Si discute di liberismo e di ritorno al socialismo. Invece siamo fuori dal Novecento. Siamo in un passaggio storico inedito. E tornano vecchie ricette e coperte apparentemente rassicuranti. Si parla poco della disperazione sociale e troppo delle alleanze future. Sento dire che dopo Monti si potrà tornare finalmente al tempo dei partiti. Ma quel tempo gli italiani l´hanno conosciuto già. O la politica riforma se stessa e ritrova le sue grandi missioni e il respiro dei “pensieri lunghi” e la coscienza dei limiti ai quali si deve arrestare o prevarranno populismo e tecnocrazia. E poi ci si divide, come si è visto a Genova, col risultato di allontanare i cittadini e di perdere le primarie»
L´invito all´unità del partito non risulta un po´ paradossale da parte di uno che litiga con D´Alema da trent´anni?
«Potrei risponderle che con D´Alema si discuteva di cose serie, se fondare un partito democratico o puntare sul modello della socialdemocrazia, se far vivere o morire il governo Prodi. Non litigavamo sulle nomine. Ma lasciamo perdere, quel tempo è passato. Oggi sono il primo a chiedere di sciogliere le correnti, tutte, compresa la mia. Che non si è mai formata per la mia conosciuta idiosincrasia al tema. I partiti devono essere luoghi aperti, non trincee di strutture che diventano pure macchine di potere. Ci vuole più pluralismo e meno correnti. La discussione politica è vitale e bella ma nel Pd le correnti, comprese le numerose componenti della maggioranza di Bersani, stanno allontanando persone che vogliono far vivere le loro idee senza sentirsi chiedere “con chi stai”. Fu questa una delle ragioni delle mie dimissioni, proprio tre anni fa´».
Alle elezioni manca ancora un anno. Quali rischi corre il Pd da qui al voto?
«Io vedo le possibilità. La fine del Berlusconismo libera energie e apre spazi immensi. Il profilo di un partito riformista, innovatore, aperto, unito può raccogliere il lavoro di questi mesi e presentarsi come il soggetto di un tempo nuovo. La foto di Vasto fu scattata quando c´era Berlusconi. Ora pensiamo a noi. Non vorrei che Casini facesse, in un nuovo centro destra, l´operazione che noi avevamo immaginato per il centro sinistra e che noi si rifluisca, come nel 94. Perderemmo così un´altra occasione, forse l´ultima, di far conoscere all´Italia una vera e profonda stagione di riforme».

La Repubblica 19.02.12

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“Bisogna scommettere sul governo senza avere paura”, di Giorgio Tonini

L’intervista di Walter Veltroni, uscita su Repubblica di ieri, ha avuto il merito di provocare una discussione non reticente sul rapporto tra il Partito democratico e il governo Monti. Veltroni ha messo in guardia il Pd dal rischio di regalare Monti al nuovo centrode-stra che sta legittimamente cercando di prendere forma.Ed ha auspicato un confronto interno al partito meno ingessato da appartenenze correntizie.
Che entrambe le preoccupazioni di Veltroni non fossero infondate, lo ha dimostrato la replica di Stefano Fassina: secondo il responsabile economico della segreteria Bersani, il nostro programma non può identificarsi con quello del governo Monti, che risentirebbe in modo strutturale della articolazione politica della maggioranza che lo sostiene. Peccato che Fassina, nonostante i continui e un po’ stucchevoli richiami all’obbligo di uniformarsi a una linea di maggioranza fortunatamente assai mutevole (come dimostra la vicenda patrimoniale), non sia riuscito a dimostrare dove sia la sostanziale distanza tra ciò che il governo Monti, con il nostro imprescindibile sostegno, sta cercando di fare e quel che potrebbe fare, nelle stesse condizioni, un governo di centrosinistra guidato dal Partito democratico. Intendiamoci: al meglio (come al peggio) non c’è mai limite, per definizione. Ma dubito che sul piano della politica fiscale, nel giro di poche settimane, in un contesto di emergenza finanziaria e di pressione sui mercati internazionali che ha avuto ben pochi precedenti in 150 di storia d’Italia, l’ipotetico governo progressista evocato da Fassina avrebbe potuto fare meglio.
Per fare solo un esempio, dopo decenni di chiacchiere sulla necessità di spostare progressivamente il carico fiscale dal lavoro alla rendita e dalla produzione al patrimonio, Monti ci ha provato sul serio ed ha portato a casa un primo risultato che merita non l’applauso, ma il tripudio del popolo progressista: quasi 8 miliardi in meno sul lavoro, alleggerendo l’Irap, in particolare su giovani e donne nel Sud, e 12 miliardi in più sul patrimonio. E dato che in Italia il patrimonio è composto per i due terzi da immobili, la gran parte dell’intervento del governo è stato sugli immobili, facendo così pagare di più a chi ha di più
ed esentando comunque una fascia sociale, pure in un contesto di assoluta drammaticità finanziaria.
Se ora, con la revisione integrale della spesa e una lotta finalmente efficace all’evasione fiscale, il governo riuscirà, come è sua esplicita intenzione, ad evitare l’aumento dell’Iva (previsto per settembre, ma come misura alternativa ai tagli alle detrazioni fiscali e alle prestazioni assistenziali, decisi da Tremonti) e anzi a ridurre l’aliquota di base dell’Irpef dall’attuale 23 al 20 per cento, ogni record progressista
sarà stato frantumato. Se così è, perché restare aggrappati al freno a mano, alimentando diffidenze e paure, ad esempio nel decisivo negoziato sul mercato del lavoro, anziché scommettere sulla volontà e la capacità del governo (e del Pd al suo fianco) di dar vita, insieme alle parti sociali, ad un nuovo diritto del lavoro, ad una nuova generazione di diritti, per una nuova generazione di lavoratori? Con la loro larga fiducia al governo, gli italiani (a cominciare dai nostri elettori) ci dicono che l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura, noi democratici, è la paura stessa.

L’Unità 20.02.12

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«Da irresponsabili mettere ostacoli al nuovo Patto sociale», di Giuseppe Fioroni

«Non parlo di questo». Non vuole parlare dell’ ultima polemica che attraversa il suo partito, il Pd, dopo le dichiarazioni di Walter Veltroni sull’ articolo 18, definito dall’ex segretario uno dei «santuari del no». Beppe Fioroni, sostenitore della prima ora del governo Monti, vuole parlare delle scelte che questo esecutivo dovrebbe fare e di quelle che dovrebbe evitare sul tema del lavoro, degli ammortizzatori sociali e anche dell’articolo 18.
Fioroni, lei critico con il governo Monti sulla riforma del lavoro?
«Il tavolo delle forze sociali è una risorsa per il Paese e per dare efficacia all’iniziativa del governo. Sbaglia chi pensa di farlo saltare, o peggio ancora di andare avanti a tutti i costi, perché è meglio “tutti scontenti” anziché portare avanti una trattativa difficile, ma credo possibile, su una posizione condivisa». Gasparri per il Pdl, ma anche esponenti del suo partito pensano che alla fine il governo debba andare avanti anche senza accordo.
«Io penso che sia sbagliato. L’Italia per tornare ad essere un Paese solido ha bisogno di rigore e sacrifici condivisi. Abbiamo il SalvaItalia, ma gli italiani per essere salvati hanno bisogno anche di vera solidarietà».
Una critica alle posizioni del ministro Fornero sulla Cassintegrazione straordinaria?
«Suggestiva l’idea del ministro sul sussidio di disoccupazione ma se Fornero è parte di quel governo che tutti i giorni ci comunica che non ci sono risorse, vorrei sapere questa suggestione quando si realizza e soprattutto con quali finanziamenti. Sa quale è la mia preoccupazione? Che qualcuno pensi di togliere la cassaintegrazione in deroga e di prendere i fondi stanziati –
1. 200 milioni di euro, già insufficienti per il 2012 e per poche persone – per utilizzarli a favore di moltissimi. Così non si va da nessuna parte. Il governo deve trovare le risorse aggiuntive senza generare un conflitto tra poveri. Non c’è bisogno di una carità pelosa».
Lei non vuole commentare,ma il tema c’è. Veltroni dice che l’articolo 18 è uno di quei santuari del no di fronte ai quali si è fermato il Paese.
«L’articolo 18 sta diventando lo scalpo di una contrapposizione politica e ideologica senza che si risolva alcun problema. Al tavolo delle parti sociali è stato già proposto un punto di equilibrio avanzato che stabilisce un principio forte di giustizia che separa la legittima tutela dagli abusi».
Questa è la posizione di Bonanni.
«È vero, è stata avanzata dalla Cisl,ma è una posizione ampiamente condivisa da altre forze sindacali e dalle parti datoriali. Metter- si a fare il “più uno” per esigenze di visibilità o voglia di distinguo è da irresponsabili».
Con chi ce l’ha?
«Con chi ritiene che in un momento di recessione come questo si
possano dividere le parti sociali e far saltare il nuovo patto sociale per l’Italia. Monti deve riflettere perché se il tavolo delle parti sociali si trova in mezzo a un braccio di ferro tra forze politiche il governo, che ora deve favorire crescita e sviluppo, rischia di indebolirsi e perdere di efficacia e effi-
cienza. A quel tavolo e nell’iniziativa di governo deve entrare con
forza il futuro dei nostri giovani, non si può non parlare di rilancio della scuola, della formazione. Il decreto sulla semplificazione dice cose importanti per la scuola e l’università ma a costo zero. Le nozze con i fichi secchi non si possono fare e quelle norme senza copertura finanziaria suonano come una beffa».
Lei vede il rischio di una serie di enunciazioni che teoricamente
promettono più diritti per tutti e maggiore equità,ma nei fatti si traducono in meno diritti per tutti?
«Le rispondo con un’altra domanda. Come possiamo pensare che i giovani credano nella formazione e nello studio se in un settore come quello della Sanità si continua a parlare di un processo di aziendalizzazione che per scegliere un primario o un medico fa prevalere il criterio della fiduca? È una follia, la fiducia evoca fedeltà, ma i malati quando hanno bisogno di essere curati vogliono
qualità e competenze».
Fioroni,torniamo alla domanda iniziale: lei critica Monti mentre suoi colleghi dicono che è un governo come non se ne vedevano da anni?
«Il presidente del Consiglio è troppo bravo per sapere che è meglio avere amici leali che criticano quando occorre che tanti, e penso a Berlusconi che passa dall’ attacco al plauso senza esitazioni, adulatori che in fondo in fondo sperano di farlo sbagliare da solo».

L’Unità 20.02.12

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