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Donne, lo Svimez: “Al sud 560 mila disoccupate nascoste”

A due settimane dall’8 marzo, un dossier fotografa la situazione delle donne al Sud Italia. Studiano meglio e più degli uomini, ma è occupata solo 1 giovane su 4 e guadagna molto meno. Il peso dei vecchi modelli che resistono e di un welfare residuale. Nel Sud oltre mezzo milione di donne sfugge alle statistiche della disoccupazione ufficiale, così da portare il tasso di disoccupazione corretto nel 2010 al 30,6%. A queste vanno aggiunte 575 mila “scoraggiate”, disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro. Mentre le poche assunte regolarmente (tra le giovani meno di una su quattro) hanno uno stipendio inferiore di oltre il 30% rispetto a un uomo del Centro-Nord. A due settimane dall’8 marzo, la Svimez fotografa la situazione delle donne al Sud nel dossier “La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud” di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano. Le elaborazioni Svimez prendono in esame la situazione delle donne al Sud dal 2008 al 2011.
Le donne nella crisi: occupate meno che in Grecia. In Italia in due anni, dal 2008 al 2010, oltre 100 mila donne hanno perso il posto di lavoro. Il Mezzogiorno è un caso unico: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4%, rispetto al 54,8% del Centro-Nord. Un divario dal resto d’Europa di quasi trenta punti (la media europea nel 2010 è 58,2%).
Oltre un milione di donne in un “cono d’ombra”. A fare la differenza tra il tasso di disoccupazione ufficiale del 15,4% e quello “corretto” sono le donne che non risultano né tra gli occupati né tra i disoccupati, ma che “informalmente” si barcamenano tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso. In questo senso, includendo queste categorie, il tasso di disoccupazione corretto femminile al Sud nel 2010 schizzerebbe al 30,6%, il doppio di quello ufficiale. In cifre, i valori si triplicano: le 393 mila disoccupate ufficiali, unite alle 560 mila implicite, diventano 953mila.
Discorso a parte, poi, per le scoraggiate, disponibili a lavorare ma non in cerca di lavoro, in base alla definizione Istat. Delle 893 mila donne italiane che si trovano in questa condizione, per la ricerca Svimez 575 mila sono al Sud.
Meno di una su tre è regolarmente occupata: ma guadagna molto meno. Su una popolazione di donne di età 15-64 anni al Sud solo meno di una su tre, pari al 30,5%, lavora regolarmente. “Situazione ancora più critica se si considerano le donne under 34: qui il tasso di occupazione crolla al 23,3%, pari a meno di una su quattro”, si legge.
A complicare ulteriormente il quadro, la differenza di stipendio. In base all’analisi Svimez, a parità di qualifica, il gap tra donna del Sud e uomo del Centro-Nord supererebbe il 30%. In valori assoluti, a fronte di uno stipendio di un maschio del Centro-Nord si 19.149 euro, una donna del Sud porterebbe a casa al 27 del mese solo 13.361 euro.
Il grande paradosso delle donne laureate: studiare non serve. Eppure le donne meridionali sono state protagoniste di una grande rivoluzione culturale. In rapporto alla popolazione, le ragazze del Sud diplomate sono passate dall’85,1% del 2000 al 94% del 2009, circa un punto percentuale in più rispetto al Centro-Nord. Ancora meglio sul fronte universitario: le meridionali laureate sono il 18,9% sul totale della popolazione 30-34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3%), pur se distante dalla performance del Centro-Nord (27,1%) e da ogni confronto europeo. “Ma studiare, per le donne, non basta – si rileva -: tra le dipendenti sono troppo poche le dirigenti (appena il 26% rispetto a una quota di occupazione femminile totale del 35% al Sud, e ancora relativamente meno nel Centro-Nord, con il 27% a fronte del 42% di occupazione femminile); tra le lavoratrici autonome, sono troppo bassi i livelli di libere professioniste e lavoratrici in proprio, di associate in cooperativa, mentre spicca il livello abnorme di lavoratrici co.co.co (il 65% del totale è donna, contro il 55,6% nel Centro-Nord)”.
Il paradosso delle donne meridionali, si legge nel dossier, è quello “di essere le punte più avanzate della ‘modernizzazione’ del Sud (persino sul piano civile) – perché hanno investito in un percorso di formazione e di conoscenza che li rende depositari di quel “capitale umano” che serve per competere nel mondo di oggi – e insieme le vittime designate di una società più immobile che altrove, e dunque più ingiusta, che finisce per sottoutilizzare o espellere le sue energie migliori”.
Vecchi modelli che resistono: a casa con bambini e anziani. Il sistema di welfare familiare e informale che ancora in molti casi è dominante nel Mezzogiorno si regge sulla donna, non lavoratrice, costretta ad un ruolo casalingo secondo un modello sociale tradizionale: allevare i bambini, accudire gli anziani. Nel 2009, la percentuale di bambini da 0 a 3 anni che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia (essenzialmente asili nido) è stata pari al 5% al Sud (anche se va detto che era il 4,1% nel 2006), contro il 17,9% del Centro-Nord (nel 2006 era il 15,9%). “Il welfare certo non sostiene le donne del Sud – si precisa -: nel 2008 in base a elaborazioni Svimez la spesa comunale per interventi e servizi sociali è stata al Nord Est di 155 euro pro capite, al Sud di 52 euro, tre volte di meno. Spicca su tutti il caso dell’assistenza ai disabili, che vede il Nord Est con oltre 5 mila euro a testa a fronte dei 657 del Sud”.
Le donne che se ne vanno. Se vogliono trovare maggiori possibilità di impiego, allora, sono costrette ad emigrare. Nel 2010, 55.500 donne hanno lasciato il Sud trasferendo la residenza al Centro-Nord, pari al 48% del totale (114mila). Numerose anche le pendolari di lungo raggio, (residenti meridionali che lavorano nel Centro-Nord), pari nel 2010 a 33mila, il 24,6% del totale (134mila).

da Redattore Sociale