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“L’esempio di Berlino”, di Barbara Spinelli

Conviene non dimenticare come nacque la candidatura di Christian Wulff, nel 2010. Nacque molto male, perché Angela Merkel s´era incaponita sul suo nome. Lo preferì a quello di un personaggio di ben altra statura. Se i tedeschi avessero potuto eleggere direttamente il capo dello Stato, senz´altro avrebbero scelto Joachim Gauck, non il grigio uomo d´apparato democristiano. Gauck era l´uomo del momento giusto, per la successione di Horst Köhler alla massima carica dello Stato. Per aver conosciuto la paura quando era un pastore dissidente nella Germania comunista, sapeva quel che significa pensare con la propria testa, resistere, affrontare tempi difficili come i nostri.
Assieme a Havel, era stato uno dei rari dissidenti che non solo aveva combattuto il totalitarismo ma era stato capace di guardare dentro se stesso, di intuire quello che può fare, di ogni uomo, un conformista o un ideologo, a seconda delle necessità e delle convenienze. Per dieci anni, fra il 1990 e il 2000, aveva diretto un´istituzione essenziale per l´unificazione tedesca e la rinascita democratica in Germania Est: l´autorità che archivia e mette a disposizione del pubblico gli atti della Stasi (servizi di sicurezza dell´Est). L´ex pastore era il candidato proposto da socialdemocratici e verdi, la sua popolarità nei sondaggi era immensa.
Angela Merkel predilesse Wulff, per mediocri calcoli di partito e probabilmente perché Gauck era figura troppo imponente per lei. L´outsider amato dai tedeschi l´avrebbe messa in ombra. Più segretamente, forse, contava anche la vita diversa che ciascuno dei due aveva avuto nella Germania comunista: dissidente lui, non comunista ma certamente conformista lei. Di Wulff non si conoscevano disonestà, quando fu designato. Ma era un personaggio senza spessore, senza grande passato. Ora che sono venuti alla luce tante macchie, e un intreccio così importante fra interessi pubblici e privati, la scelta del Cancelliere appare ancora più incongrua, e ottusa.
Wulff è il figlio della meschinità politica, del pensare corto e piccolo che ha prevalso in questi anni ai vertici tedeschi, specialmente democristiani. Roland Nessel, editorialista dello Spiegel, gli ha affibbiato un nomignolo: il Presidente altro non era che un Gernegroß, un «vorrei esser grande». In Italia diremmo: un «vorrei ma non posso». In Germania i capi di Stato non hanno poteri vasti come in Francia e America; non sono neanche paragonabili ai colleghi italiani. Da loro ci si aspetta tuttavia un senso acuto dell´etica pubblica, un´attitudine leggermente aristocratica a volare alto: a dire – nei momenti critici – parole possenti e decisive. Cruciali furono nel dopoguerra, e poi tra gli anni ´70 e ´90, presidenti come Theodor Heuss, Gustav Heinemann, Richard Von Weizsäcker, Roman Herzog, Johannes Rau. Il declino della carica comincia nel 2004, con il predecessore di Wulff che fu Horst Köhler. Tutti e due sono stati uomini della Merkel, costretti a dimettersi prima del tempo.
Detto questo, la caduta di Wulff è un giorno memorabile per la democrazia tedesca. I legami del Presidente con finanzieri poco fidati, la maniera in cui aveva ottenuto crediti agevolati grazie ai favori dell´industriale Geerkens, ai tempi in cui era presidente della Bassa Sassonia, i piccoli favori ottenuti dal magnate dell´industria cinematografica David Groenewold: simili reati non reggono il paragone con la corruzione che mina la politica italiana, ma sono insopportabili per i tedeschi. Sono il segno che i partiti nelle loro chiuse cucine possono sbagliare e deviare dall´etica pubblica, ma che nella società esistono fortissimi anticorpi, pronti a reagire a ogni sorta di malaffare, di bugia detta dal potere. E tutto questo, prima che comincino i processi veri e propri. Un caso Cosentino è impensabile in Germania. L´ultimo scandalo fu quello del ministro della Difesa Karl-Theodor zu Guttenberg, costretto a dimettersi nel marzo 2011, quando si scoprì che la sua tesi di dottorato era frutto di plagio. Anche Guttenberg era uomo della Merkel.
Non ci sono grandi personalità a guidare la Germania, ma il controllo sociale sulla politica è intenso, e le campagne stampa godono dell´appoggio della popolazione. L´uguaglianza di tutti davanti alla legge è una regola aurea cui la nazione e le sue classi dirigenti non rinunciano. L´una e le altre non indietreggiano davanti ai capi di Stato. Non lasciano soli i magistrati e i giornalisti, a fare le loro inchieste. Per questo i risultati di tali battaglie sono tangibili, e tempestivi.
Non così in Italia. Sono stati necessari la crisi economica e lo spread impazzito, perché Berlusconi venisse spinto fuori dall´arena politica. E ancor oggi la corruzione dilaga, ancor oggi l´operazione Mani Pulite è ricordata con sospetto, rancore: per alcuni il malcostume ha toccato le vette odierne non malgrado, ma a causa dei procedimenti contro Tangentopoli. C´è perfino chi ritiene non irrealizzabile il sogno di Berlusconi di salire un giorno al Quirinale. Speriamo che la Germania diventi un esempio per il funzionamento della sua democrazia, e non solo per la disciplina finanziaria che sta imponendo all´Unione europea.

La Repubblica 18.02.12