Sull’Ici sui beni della Chiesa e delle associazioni non profit l’intesa è quasi chiusa. La decisione italiana annunciata l’altroieri dal premier Mario Monti in una lettera al Commissario Ue Joaquin Almunia risponderebbe alle richieste europee, oltre che a quelle Vaticane. Il dato non è secondario: se l’Italia non avesse trovato una soluzione in tempi brevi, la procedura d’infrazione era data per certa. Se fosse scattata, su quegli immobili si sarebbe dovuto pagare anche retroattivamente. I Comuni avrebbero potuto richiedere l’Ici degli ultimi 5 anni. Meglio correre ai ripari. Così si è fatta strada la revisione dell’ultima norma (varata dal governo Prodi) che lasciava un’ampia zona grigia, esentando gli immobili «non esclusivamente commerciali». In sostanza il capovolgimento della norma originaria, che esentava gli immobili destinati ad attività non commerciali. È bastato l’avverbio «esclusivamente» per aprire una voragine. Il governo è pronto a presentare una correzione, probabilmente in un emendamento a un decreto fiscale che sarà varato il prossimo 24 febbraio. Il testo sembra tornare alla formulazione originaria, (esclusione dall’imposta degli immobili destinati ad attività non commerciali). In caso di promiscuità, l’emendamento dovrebbe prevedere un’imposizione «a riparto»: verrebbe esclusa dalla base imponibile la frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale. Sulle stime di maggior gettito che i Comuni e lo Stato potranno incassare (la manovra destina la metà degli incassi Imu allo Stato centrale) circolano le cifre più disparate. Secondo uno studio dell’Anci, eseguito in occasione della valutazione delle agevolazioni fiscali in vigore, la base imponibile agevolata sarebbe di 171,5 miliardi, ma solo un miliardo potrebbe essere colpito dalle nuove regole. Considerando le aliquote in vigore, il prelievo sarebbe attorno a 700 milioni. Queste le stime dei sindaci,m asecondo altri studi ministeriali il gettito extra si fermerebbe a 100 milioni. Nella città diRoma (quella a più alta densità di immobili coinvolti dalla norma) alcune simulazioni stimano un maggiore gettito di circa 70 milioni, e dunque di circa 35 per il Comune.
LE CIFRE
La vicenda Ici chiesa, tuttavia, ha provocato parecchi malumori tra i sindaci dell’Anci, che ne hanno parlato nel direttivo di ieri. I primi cittadini lamentano di non essere stati neanche consultati. «Mi pare che il governo si stia muovendoin coerenza con le direttive europee e allo stesso tempo anche la Chiesa si è detta disponibile a discutere del tema – ha dichiarato ieri il presidente Graziano Delrio – Certo anche di questo si poteva parlare con i Comuni, che potevano dare una mano».
Per i Comuni restano in piedi parecchi nodi da sciogliere. «Ci sono problemi tecnici legati all’accatastamento di molte di queste strutture – continua Delrio – destinate ai fini esclusivamente commerciali». A questo si aggiunge la richiesta che tutto l’incasso Imu resti ai Comuni. «La nostra proposta al governo è che nel 2012 rientri almeno il 70%, tagliando sui rispettivi trasferimenti – conclude il presidente – mentre che dal 2013 ci sia il rientro di tutto il gettito. Su questo attendiamo ancora risposte». Non c’è solo l’accatastamento a rendere l’operazione complessa. In alcuni Comuni le autorità ecclesiastiche e le associazioni non-profit hanno contestato la definizione di «commerciale» per alcune attività, come quella dei servizi sanitari e dell’istruzione. Nella maggior parte dei casi i giudici hanno dato ragione ai Comuni, perché una clinica può svolgere un servizio sociale, ma non a fronte di rette esose.
Stessa cosa per la scuola. D’altro canto l’attività commerciale è definita in modo molto preciso dal codice civile (articolo 2082), e nella fattispecie rientrano anche attività senza scopo di lucro. L’altro aspetto che in pochi hanno valutato sono gli effetti a cascata che comporta la definizione di attività commerciale. Oltre all’Ici, in quel caso si dovranno pagare anche l’Ires, l’Iva e l’Irpef. Tutte imposte finora «evitate».
L’Unità 17.02.12