Giovanni, uno dei tanti precari che conosco, mi ha inviato un’Email per dirmi di non essere molto preso dalla curiosità di sapere se c’è stato un incontro segreto tra la Camusso e Monti. Non è questo che lo preoccupa. Così come non lo preoccupa il pranzo, sempre da Monti, con la Camusso, ma stavolta anche con Bonanni, Angeletti e addirittura il presidente della Repubblica tedesca Wulf. Quello che a lui, invece, sta molto a cuore è il suo futuro. Anche perché la ridda delle ipotesi che legge riguardano soprattutto una cosa: l’articolo 18. Lui quasi non sa nemmeno che cosa sia. Giovanni, infatti, da alcuni anni insegue il lavoro del precario, ovverosia vive contratti spesso di breve durata, magari lunghi tre mesi. E ogni tanto viene licenziato, senza bisogno di alcuna motivazione, di natura economica o tesa alla pura e semplice discriminazione. Il padrone (o, pardon, datore di lavoro sia pure intermittente) gli dice “contratto scaduto” e lui va a casa. E non può andare certo dal giudice per chiedere di essere reintegrato oppure di avere quello che chiamano “risarcimento” come negli incidenti stradali.
Ecco perché Giovanni quando ha letto che si sta studiando una soluzione per i precari (tutti i precari?) comprendente quattro anni di lavoro sicuri con tutti i diritti e tutte le tutele del posto fisso (ferie, tredicesima, malattia pagata, diritto al mutuo dalle banche, pensione) ma senza l’articolo diciotto, ha esclamato “Magari!”. Perché lui oggi come oggi è licenziato ogni tre mesi, o poco più, e rimane di colpo senza posto, senza giudici che reintegrano, senza mobilità, senza cassa integrazione.
Qualcuno, però, gli ha messo una pulce nell’orecchio. Trattasi di un dubbio non dappoco. Così procedendo, infatti, le aziende (ha spiegato il maligno interlocutore) i luoghi di lavoro, pubblici e privati, verranno abitati da masse di giovani, come dire, un po’ timorosi. Ovverosia con la voglia assoluta di farsi ben volere da quel benefico datore di lavoro, onde non imbattersi nello spauracchio dei licenziamenti privati dello scudo dell’articolo 18. Una condizione di menomazione. Chi lo convincerà ad aderire a quella organizzazione di sovversivi che si chiama sindacato? Chi gli dirà che è bene contrattare i ritmi, le nocività, l’organizzazione del lavoro, dimostrando magari al caporeparto che lavorando in un certo modo alla fine si guadagna in produttività? Questi nuovi assunti preferiranno stare ubbidienti e silenti così come già si dovrà stare nelle nuove Fiat di Marchionne, pena accusa di disobbedire agli accordi. Non più “produttori” ma pedine disponibili, in uno stato di servitù e non certo di partecipazione consapevole.
E poi, altro dubbio inquietante: chi assicurerà che il nuovo diritto a licenziare, senza più lacci e laccioli, non possa essere esercitato anche dopo 3 mesi di lavoro? Esattamente come ai vecchi tempi dei mini-contratti? È con questi interrogativi che l’entusiasmo di Giovanni si placa, si dissolve. Sarebbe meglio studiare una proposta che lo rassicuri davvero.
L’Unità 15.02.12
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“È scontro sui precari:sindacati e imprese non trovano l’intesa”, di Massimo Franchi
Questa mattina si ritroveranno faccia a faccia a palazzo Chigi. Ma ieri governo e parti sociali sono sembrati più che distanti. Mentre Mario Monti a SkyTg24 parlava di lavoro, negli stessi minuti sindacati e imprese uscivano dall’ennesimo tavolo comunecon la richiesta che fosse lo stesso governo a prendere in mano la situazione. In sostanza Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confindustria, ReteImprese, Abi, Ania dicono: «Noi su alcuni punti abbiamo trovato intese, su altri siamo lontani. Adesso tocca al governo lasciare gli slogan ed entrare nel merito dicendoci quali sono le sue priorità dove non c’è accordo tra di noi». Come sintetizza Susanna Camusso, «bisogna passare a una stagione più negoziale del confronto, serve un salto di qualità nel merito della discussione ». Per Raffaele Bonanni il vertice si è chiuso «convergendo il più possibile tra di noi per avere così un impatto positivo con il governo». Per Luigi Angeletti «abbiamo fatto un ottimo lavoro e siamo pronti a iniziare una trattativa per raggiungere il risultato di fare un accordo», mentre Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria si limita ad un: «Stiamo lavorando seriamente ». VICINI SU FORME D’INGRESSO Nel merito le parti sociali sono molto vicine sul capitolo tipologie d’ingresso al lavoro. Sindacati e Confindustria concordano nel rafforzare l’apprendistato, nel rilanciare il contratto di inserimento per le figure svantaggiate (donne e 50enni) e, infine, nel prevedere i contratti in somministrazione di lavoro come la forma di flessibilità che dà più tutele e garanzie a lavoratori e aziende, tramite le agenzie interinali. Sugli ammortizzatori il livello di accordo è buono, ma leggermente inferiore. Cgil, Cisl, Uil e Ugl assieme a Confindustria concordano sulla necessità di non intervenire sulla normativa attuale in un momento di forte crisi. Per il futuro le linee di indirizzo comuni sono il mantenimento di Cassa integrazione e Cassa integrazione straordinaria, prevedendo l’estensione a tutti i settori (e non alla sola industria) di una forma di assicurazione per chi perde il lavoro sulla falsa riga dell’attuale Cassa integrazione in deroga, con altro nome. In questo senso anche Rete Imprese si è detta disponibile a contribuire sebbene si preveda che la durata dell’assicurazione possa essere più breve rispetto ai due anni di oggi. L’ultima gamba dei nuovi ammortizzatori sarà un’estensione e rafforzamento dell’attuale indennità di disoccupazione che tuteli tutti i lavoratori precari. Molto più distanti le parti sul capitolo cosiddetto della cattiva flessibilità (Fornero dixit). Sindacati e Confindustria individuano in false partite Iva e collaborazioni spurie il nemico da combattere. Molto diverse però le ricette per farlo: Cgil, Cisl, Uil e Ugl chiedono che queste forme contrattuali costino di più alle imprese così da disincentivarle; Confindustria e Rete Imprese invece sostengono che l’unica via per perseguirle siano i controlli ispettivi, ma si dicono indisponibili ad alzare il costo di questo tipo di lavoro. Oggi dunque toccherà al ministro Elsa Fornero dare una traccia più compiuta alla trattativa. Ma, come successo nei due precedenti incontri, nessuno sa cosa farà il ministro del Lavoro. Ieri sera il suo premier Mario Monti ha invece ribadito la fermezza con cui il suo governo porterà avanti la trattativa. «Pensiamo a un’intesa, ci auguriamo di arrivare nel termine temporale di fine marzo a un’intesa», ma «siccome abbiamo una responsabilità verso l’insieme dei cittadini italiani non potremmo fermarci se a quel tavolo non ci fosse l’accordo». Capitolo giovani: «Per i giovani abbiamo una serie di iniziative mirate, provvedimenti arriveranno con la riforma del mercato del lavoro: toglieremo un po’ di protezioni a soggetti protetti. Tutta la riforma mira a rendere più interessante, riducendo certi ostacoli, alle imprese assumere giovani. Solo con una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro », si può arrivare a questo obiettivo. Sull’articolo18il premier ha sostenuto che «ciò che disciplina le assunzioni, i licenziamenti, non sia del tutto irrilevante né per i diritti dei lavoratori, né per l’incentivazione o la disincentivazione alle imprese per assumere. Detto questo – ha aggiunto – nessuno qui nel governo è alla caccia di simboli da usare come trofei per dare dimostrazione del fatto che stiamo cambiando l’Italia e anzi cerchiamo di combattere le semplificazioni ». Resta il fatto che «è uno dei temi che vengono osservati dall’estero per una valutazione su come il mercato del lavoro italiano diventa capace di funzionare in modo un po’ più simile ad altri paesi, come quelli nordici dove c’è più flessibilità e più tutela».❖
L’Unità 15.02.12