Davvero qualcuno pensa di salvare l´Europa così, spezzando le reni alla Grecia? Proprio a ciò stiamo assistendo, con disagio: l´illusione nefasta di restituire unione al Vecchio Continente con il bastone dell´austerità. Calpestando la rivolta di piazza Syntagma e contrapponendo un Parlamento prigioniero al suo popolo affamato. La sequenza di provvedimenti dettati dalla Troika al governo di Atene ricorda l´indifferenza del boia piuttosto che non l´abilità del chirurgo. Questa entità burocratica, composta dalla Commissione di Bruxelles, dalla Banca centrale di Francoforte e dal Fondo monetario di Washington si propone di erigere un firewall, cioè un muro antincendio, come estrema difesa dell´euro. E pazienza se al di là di quel muro sono i greci a bruciare.
Dietro la Troika che ogni giorno inasprisce le sue richieste di sacrifici – non basta, non basta, non basta – si riconosce inconfondibile la sagoma dominatrice della Germania. «Non dobbiamo dare l´impressione che non debbano sforzarsi», ha dichiarato ieri il ministro tedesco dell´economia, Wolfgang Schaeuble. Aggiungendo che la Grecia rimarrebbe in Europa anche se ritornasse alla dracma. Prospettiva, questa, che ormai gli avvoltoi della finanza internazionale sembrano auspicare. Sono gli stessi gnomi che tre mesi fa posero il veto al referendum indetto dal primo ministro socialista Papandreou, allora con buone chances di vincerlo, nella speranza che la difficile scelta di restare nell´eurozona venisse cementata dal suffragio popolare. Come è noto Papandreou fu costretto a cedere il posto al tecnocrate Papademos, uomo di fiducia di Francoforte. Ma ora neanche questo basta più. La Troika non vede di buon occhio la scadenza del prossimo mese d´aprile, quando i greci dovrebbero eleggere democraticamente un nuovo Parlamento e un nuovo governo. Teme che la volontà popolare contraddica il piano di lacrime e sangue cui ha vincolato la concessione di ulteriori prestiti. Esige un commissariamento della sovranità nazionale che non è previsto da alcun trattato, e quindi delinea una nuova forma di colonialismo il cui dominio si fonda non più sugli eserciti ma sul debito.
L´europeismo rigoroso e solidale che mira a una vera unione politica e fiscale, esce umiliato da questa tragedia greca che i governi di destra, a Berlino come a Parigi, hanno lasciato degenerare, temo, per fini pedagogici: colpiscine uno per educarne cento.
La stessa ragionevole constatazione del presidente Napolitano – «l´Italia non è la Grecia» – suona come un´estrema autodifesa. Perché è vero che disponiamo di risorse ben maggiori in confronto al vicino ellenico, la nostra società sta sopportando meglio la cura del risanamento, e le forze politiche garantiscono una maggioranza irrequieta ma solida all´azione del governo Monti. Ma la bancarotta che sta accelerando l´uscita della Grecia dall´eurozona rende meno probabile la tenuta della coesione sociale in casa nostra. L´Italia non è la Grecia, d´accordo. Come reprimere però il disagio provocato dallo spettacolo di una nazione costretta a licenziare, tagliare gli stipendi, rinunciare a prestazioni sociali essenziali, il tutto per pagare gli interessi sul debito, ma sapendo che ciò non comporterà alcun rilancio della sua economia? Finora ha prevalso fra noi un atteggiamento di distacco nei confronti delle sofferenze dei greci: in fondo se la sono voluta, avevano truccato i conti, vivevano al di sopra delle loro possibilità… Ma di fronte allo strangolamento in atto, non occorre richiamare gli antichi sentimenti filo-ellenici del romanticismo e della carboneria – da Lord Byron a Santorre di Santarosa – per sentirsi coinvolti nel destino di un Paese a noi così prossimo. Se questo è l´esito ultimo delle politiche d´austerità che privilegiano il pagamento del debito, coloro i quali hanno davvero a cuore la prospettiva europeista, non devono forse correre ai ripari?
La Repubblica 13.02.12