Ci sono due temi di stringente attualità ai quali voglio oggi dedicare queste mie riflessioni: il probabile fallimento greco e le sue ripercussioni sull´Europa; i partiti e la democrazia italiana dopo Monti (e dopo Napolitano). Al centro di questa tenaglia c´è il paese Italia con i suoi vizi (molti) le sue virtù (poche) le sue contraddizioni (infinite).
Comincio dal primo: il fallimento greco e la sua uscita dall´euro è ritenuto pressoché inevitabile entro il prossimo marzo o al più tardi nel prossimo autunno. La società di quel paese ha dichiarato guerra al governo che ha tentato di attuare il piano di austerità impostogli dall´”Europa tedesca”. Inutilmente. L´aumento del debito in rapporto al Pil è alle stelle (180 per cento) e altrettanto alle stelle i rendimenti del debito sovrano che il sistema bancario internazionale giudica ormai carta straccia tanto da accettarne (malvolentieri) una liquidazione solo con uno sconto del 70 per cento.
La situazione si è dunque avvitata e non si avvistano alternative valide, se ne può soltanto prolungare l´agonia.
La cancelliera Merkel ha detto due giorni fa che il fallimento della Grecia avrà rischi incalcolabili sull´Unione. Voce dal sen fuggita, si potrebbe dire, poiché proviene dalla stessa persona che si è finora tenacemente opposta ad adottare la sola misura che poteva mettere al sicuro la Grecia dal trauma e con essa il Portogallo che la segue a ruota e l´Irlanda, per non parlare della Romania e della Bulgaria: la creazione degli Eurobond e la sostituzione dell´Eurozona nella titolarità dei debiti sovrani dei 17 paesi che ne fanno parte.
Una soluzione di questo genere significava la nascita dello Stato federale europeo, almeno per quanto riguarda i paesi che hanno adottato la moneta comune. Ma né la Germania né la Francia sono ancora disposti a questo passo. Il loro obiettivo resta quello d´una Confederazione rafforzata da alcune parziali cessioni di sovranità dagli Stati nazionali: una via di mezzo che significa di fatto sedersi tra due sedie, cioè col sedere per terra.
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Francamente non so valutare se l´economia greca, una volta che sia uscita dall´euro e tornata alla dracma, riuscirà a sopravvivere e perfino a riprendersi. Probabilmente sì, una svalutazione “selvaggia” della dracma, un sostanzioso slancio del turismo, la vendita di alcuni formidabili asset culturali migliorerebbero la situazione patrimoniale. Potrà bastare? Oppure precipiterà il paese in una vera e propria guerra civile e nella sua frantumazione politica e geografica? Le previsioni sono quanto mai azzardate su temi di questa natura.
Meno azzardate sono le previsioni su quanto potrebbe accadere agli altri membri dell´Eurozona, rimasti in 16 o magari in 14 se anche Portogallo e Irlanda arrivassero al “default”. Abbiamo già ricordato che la Merkel parla di danni incalcolabili per il resto dell´Eurozona e anzi di tutta l´Unione. Certo non sarebbe una passeggiata amena gestire una crisi di quella natura, non tanto per le dimensioni dei debiti sovrani in questione quanto per il fatto che alcune grandi banche, soprattutto tedesche e francesi, ne possiedono una notevole quantità nei loro portafogli. A loro volta le obbligazioni di quelle banche tedesche e francesi sono in ampia quantità possedute da banche importanti in tutto il mondo.
Insomma, il fallimento di due o tre paesi dell´Eurozona avrebbe ripercussioni molto serie sul sistema bancario internazionale obbligando gli Stati nazionali a nazionalizzare totalmente o parzialmente una parte notevole dei rispettivi sistemi bancari.
Con quali strumenti? Stampando moneta attraverso le rispettive Banche centrali: Federal Reserve, Bce, Banca d´Inghilterra, Banca nazionale svizzera e probabilmente anche le Banche centrali della Cina, India, Giappone, Russia.
Gli effetti generali d´un salvataggio bancario di queste dimensioni in tempi di recessione già in corso, ne prolungherebbe la durata producendo al tempo stesso inflazione. Si chiama “stagflation” che è quanto di peggio possa capitare specialmente in Europa e in Usa. Forse la Merkel è questo che aveva in mente.
Per farvi fronte l´Europa ha due strade (che sono state indicate nell´articolo del direttore del “Times” che il nostro giornale ha pubblicato venerdì scorso): marciare dritti verso la costituzione d´un vero e proprio Stato federale europeo oppure ritrarsi in una Confederazione europea di libero scambio senza più moneta unica. Due scenari densi d´incognite.
Personalmente continuo ad essere moderatamente ottimista. Credo cioè che l´eventuale crisi bancaria non sarebbe di dimensioni ingestibili; credo che – Grecia a parte – non ci sarebbero altri “default” e credo anche che il fallimento della Grecia produrrebbe un´accelerazione verso un´Europa federale. Credo infine che dal male possa venire un bene e che l´Italia, se Monti potrà proseguire nel suo programma di modernizzazione dello Stato e della società, possa contribuire al bene dell´Europa e al proprio.
Probabilmente questi risultati avranno bisogno d´un tempo più ampio che vada oltre la scadenza elettorale del 2013 e questo mi porta ad esaminare il secondo tema di queste riflessioni: la democrazia italiana del dopo-Monti.
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Pensare come alcuni politici italiani ancora pensano, che dopo le elezioni del 2013 tutto torni al “heri dicebamus” è pura follia. La seconda Repubblica è ormai smantellata, la prima è stata sepolta vent´anni fa e non potrà essere resuscitata perché dal 1992 ad oggi l´intera struttura del paese è cambiata e ripristinare la sovrastruttura politica e culturale di allora è manifestamente impossibile.
Ci vogliono mutamenti costituzionali e istituzionali, ci vuole una nuova legge elettorale consona, ci vuole soprattutto la rinascita dei partiti che attualmente vivono in uno stato larvale.
I partiti come li prevede la Costituzione debbono essere strumenti di elaborazione politica e culturale, portatori d´una visione del bene comune e capaci di raccogliere il consenso degli elettori, cioè la rappresentanza parlamentare, che tuttavia dev´essere anche aperta all´accesso di movimenti e singole persone espressione diretta della società civile.
La legge elettorale costituisce lo strumento che consente la rappresentanza e assicura al tempo stesso la governabilità. Si debbono dunque riformare i partiti anche attraverso l´istituzione delle primarie; si debbono adottare come base elettorale i collegi uninominali, si deve abolire il premio e sostituirlo con un´adeguata soglia di sbarramento per evitare soverchie frantumazioni e improprie alleanze pre-elettorali. Infine si deve impedire che i partiti restino quel che sono e cioè conventicole e consorterie di varia e non sempre esaltante natura.
Le Camere esprimeranno maggioranze e opposizioni. Le maggioranze esprimeranno al Capo dello Stato i valori e gli indirizzi ricevuti dal corpo elettorale ed eserciteranno il doveroso controllo sull´operato del governo. Le opposizioni a loro volta prospetteranno una visione alternativa del bene comune partecipando a pieno titolo al controllo sull´operato del governo e della pubblica amministrazione.
Il finanziamento dei partiti e dei gruppi parlamentari dovrà essere fin d´ora disciplinato in forma idonea; l´argomento fu posto al numero uno del decalogo con il quale il Partito democratico si presentò alle elezioni del 2008 sotto la guida di Veltroni, ma non fu mai concretamente affrontato così come non è stata mai adottata la norma costituzionale che impone una struttura democratica all´interno dei partiti e dei sindacati affidandone la verifica ad autorità terze. Varrebbe la pena che argomenti come questi fossero posti all´ordine del giorno delle forze politiche e sindacali.
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Il presidente della Repubblica ha i poteri che la Costituzione gli affida e questi poteri culminano nella nomina del presidente del Consiglio e su sua proposta dei ministri. Evidentemente il Quirinale si deve porre il problema che il suo candidato ottenga la fiducia del Parlamento, ma è al Quirinale che spetta la scelta per compier la quale non è prevista alcuna procedura di preventiva consultazione. La nomina di Monti insegni.
Fu dettata dall´emergenza? Non soltanto. Pur tenendone conto, il presidente Napolitano avrebbe avuto largo campo di scelta perché c´erano almeno altri tre nomi che potevano soddisfare quell´esigenza. Napolitano scelse direttamene e in perfetta aderenza al dettato costituzionale. Questa è dunque la corretta e la più che opportuna procedura e penso che debba essere uno dei pilastri portanti della terza Repubblica.
I contatti tra le forze politiche su questo complesso di questioni è già in corso. Fare previsioni sugli esiti è un´ardua impresa, ma è auspicabile che esse tengano ben presenti le esigenze che qui abbiamo indicato e che emanano dal mutamento dei tempi e delle strutture politiche, sociali, economiche e culturali. Altrimenti saranno costruiti castelli di sabbia, preda dei venti e privi di futuro.
Post scriptum. Alcuni deputati che fanno parte della segreteria del Partito democratico sembrano decisi a presentare ai loro organi dirigenti la proposta di trasformare il Pd in un partito socialdemocratico sullo schema del partito socialista europeo.
Ciascuno pensa e fa quel che “il core mi ditta dentro e va significando” ma il senso di questa proposta mi sfugge.
Sono tra gli elettori del Pd ed ho partecipato alle primarie fin dai tempi dell´Ulivo di Prodi e poi del Pd come certificano le liste stilate nei gazebo dove il voto delle primarie veniva raccolto insieme ai dati anagrafici dei votanti. Credo sia il solo partito italiano che adotta le primarie e me ne rallegro, ma non credo che avrei votato per un partito socialdemocratico che oggi a me sembra del tutto anomalo nel panorama italiano. Se la proposta passasse penso che sarebbe un favore per il partito dell´Udc, un genere di favore che non può essere ricambiato.
Il Pd è nato appena quattro anni fa come partito riformista e innovativo ed ha avuto il voto anche di molti liberali di sinistra ed ex azionisti come anch´io sono. Quando si presentò alle elezioni ebbe il 34 per cento dei voti: mai i riformisti italiani, durante la monarchia e poi durante la repubblica, erano arrivati ad un terzo del corpo elettorale. Era lo stesso livello raggiunto dal Pci di Berlinguer, di cui però il Pd non era la continuazione.
Sarei molto lieto di conoscere in proposito l´opinione del segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Tanto per sapere, come elettore del partito da lui guidato.
La Repubblica 12.01.12