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“Ogni anno sessantamila laureati si spostano da Sud a Nord per lavoro”, di Luisa Grion

Tra pendolari e cambi di residenza i dati smentiscono il presunto immobilismo. A un anno dalla laurea il giovane meridionale si trova distante da casa 214 chilometri. Eppur si muovono: meno di quanto si faceva negli anni Sessanta, in misura minore anche rispetto agli anni pre-crisi, ma gli italiani, i giovani soprattutto, vanno a cercare il lavoro dove c’è. Il guaio è che spesso non lo trovano. Stare vicino a mamma e papà non è una priorità: certo aiuta se il lavoro è precario e lo stipendio è basso o se i genitori coprono il vuoto assistenziale legato – in caso di figli piccoli – alla mancanza di asili nido. Ma spostarsi non è un problema. Secondo un’indagine elaborata dall’Isfol con il dipartimento demografico della Sapienza di Roma il 72 per cento dei giovani fra i 20 e i 34 anni è disponibile a spostarsi pur di trovare lavoro. Il 17 per cento mette in conto di vivere in un altro paese europeo, quasi il 10 è disponibile anche a cambiare continente. Una tendenza confermata dai dati dello Svimez, dell’Istat e di Almalaurea. Le resistenze a cambiare città o regione sono basse, specialmente in presenza di un titolo di studio elevato. E il cambio di mentalità è generalizzato, riguarda sia il Nord che il Sud, sia i maschi che le femmine.

Il SUD CHE VIAGGIA
Nel 2010, spiega lo Svimez, 250 mila persone si sono spostate dalle regioni meridionali ad altre aree del Paese. Di queste 114 mila hanno effettuato il cambio di residenza (erano 70 mila solo a metà degli anni 90) e 134 mila si sono attrezzati con la mobilità a lungo raggio e il pendolarismo. Volendo considerare il lungo periodo le quote lievitano: dal 1990 al 2005, certifica la Banca d’Italia, il passaggio dal Sud al Nord ha coinvolto due milioni di persone. “Dire che i giovani vogliono starsene con papà e mamma è un luogo comune – assicura Luca Bianchi, vicedirettore dello Svimez – in realtà c’è una grande disponibilità sia a muoversi che ad accettare occupazioni non corrispondenti al titolo di studio. E’ vero che negli ultimi mesi in fenomeno si è ridimensionato: fra il 2008 e il 2010 ci sono state 15 mila migrazioni in meno, ma questo è un effetto della crisi”.

LE DONNE
Anche loro sono disposte a partire: nel 2009, prendendo in considerazione i titoli di studio medio-alti (diploma e laurea), il 54,6 per cento degli spostamenti per lavoro da Sud a Nord è dovuto alla componente femminile e ciò spiega in parte il crollo delle nascite nelle regioni meridionali. Fra le laureate, dato nazionale di Almalaurea, solo il 4,9 per cento delle ragazze non è disponibile a spostarsi.

I LAUREATI
Nel 2010, dati Svimez, quasi 60 mila laureati si sono spostati dal Sud a Nord per motivi di lavoro (oltre 18 mila con cambio di residenza) e 1.200 sono “fuggiti” all’estero. Almalaurea certifica che solo il 3,8 per cento dei laureati italiani non è disponibile a trasferimenti. Di fatto, ad un anno dalla tesi, i laureati meridionali lavoro a 214 chilometri di distanza media dal comune di nascita, ma la media italiana è comunque alta (88 Km). La disponibilità a spostarsi aumenta all’aumentare del reddito della famiglia di provenienza. “Einaudi diceva che per governare bisogna conoscere” ricorda Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea “affermare che i giovani tendono all’immobilismo è un errore smentito dalle cifre. Non è poggiando su vecchi luoghi comuni che troveremo la strada per uscire dalla crisi”.

La Repubblica 07.02.12

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“GIOVANI INTRAPRENDENTI CI SONO MA DIETRO C’E’ UNAREALTA’ DRAMMATICA E POCHE OPPORTUNITA'”, di Flavia Amabile

E allora: bamboccioni, sfigati, monotoni nella loro mania del posto fisso. Ma soprattutto ecco che cosa sono i giovani italiani nell`immaginario collettivo di chi sta al governo: i soliti, inguaribili mammoni.

Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, ha sentito che cosa sostiene sui giovani il ministro dell`Interno Anna Maria Cancellieri? «Ancora una frase? Ma non si può andare avanti con le frasi…».

Stavolta l`analisi è: «Noi italiani siamo fermi al posto fisso, nella stessa città di mamma e papà». Insomma, mammoni. E` così? «Su questo tema stiamo realizzando proprio in questi giorni un`elaborazione come Censis e la situazione è davvero drammatica. Il mondo giovanile ha una difficoltà notevole. All`interno di coloro che hanno fra i 25 e i 29 anni il 31% è del tutto inattivo. E` una cifra enorme».

Quanti sono all`estero? «In Francia sono il 12,5%, il Regno Unito il 15%, la Germania il 17,5%. In Italia è quasi il doppio: abbiamo un esercito fuori dai giochi. Ora, io penso che ci sia sempre un equilibrio tra oggettivo e soggettivo. In un altro periodo storico ci sarebbero stati fiumi di giovani alla ricerca di un posto in un altro Paese europeo.

Li abbiamo, e sono i più intraprendenti, ma restano una minoranza.

Non abbiamo il contrario, invece, perché in Italia ci sono poche opportunità».

In breve: la maggioranza sono mammoni.

Perché? «Perché ci sono persone che hanno minori capacità di intraprendenza personale.

O forse perché hanno una formazione poco positiva: hanno scelto il liceo senza crederci o una scadente formazione tecnica e professionale quindi non hanno un mestiere. Oppure non hanno spirito d`iniziativa e nemmeno qualcuno a cui rivolgersi perché un`altra anomalia italiana è che il 70-80% del lavoro non si trova attraverso canali formali».

Dunque, i mammoni italiani sono più numerosi che nel resto d`Europa. Ma almeno la quota di intraprendenti è abbastanza simile? «Direi di no. All`estero la formazione è più legata al lavoro fin dalle elementari.

Da noi prevale la formazione generalista, la liceizzazione che poi porta a università altrettanto generiche. Mi viene da dire addirittura che le università italiane sono mammone. Abbiamo atenei adatti a formare un`élite dove però studiano milioni di giovani. La protezione è una tendenza tutta italiana, un frutto della cultura familiare. In Francia i giovani hanno un sussidio, vengono resi autonomi».

In Italia allora si potrebbe dire che poiché non esiste nulla di tutto questo a` livello pubblico le famiglie sono costrette a aiutare da sole i propri figli.

«Ma è una protezione che ottunde la voglia di autonomia. Il problema è che di tutto questo parliamo da quindici anni ma, al di là delle parole e delle lamentele, da parte dei governi non esiste un solo provvedimento che dia autonomia ai giovani ma nemmeno che aumenti la nostra capacità produttiva. Quello dei giovani mammoni è un problema drammatico, ma è evidente che durerà ancora per poco».

Perché? «Perché ad un certo punto i risparmi dei genitori finiranno. La riforma delle pensioni c`è stata, chi faceva un doppio lavoro non potrà più farlo, i ragazzi verranno per necessità spinti ad avere un maggior spirito d`iniziativa.

Purtroppo non ci saranno opportunità di lavoro perché non aumentare la capacità produttiva vuol dire lasciare i problemi irrisolti. Siamo uno dei Paesi con la più bassa produttività, non possiamo continuare a dividere sempre la stessa torta».

Questo governo sostiene di voler fare qualcosa, ha iniziato con le liberalizzazioni…

«Che cosa si può ottenere con le liberalizzazioni? Al massimo un aumento dell`occupazione attraverso una ridistribuzíone delle risorse esistenti. Vuol dire seguire un modello statico, si spera di innescare un abbassamento dei prezzi e quindi di rendere più accettabili i salari esistenti. Vuol dire giocare in difesa non si sta espandendo il mercato, non si sta creando la possibilità per i giovani di svolgere un nuovo lavoro. Si continua solo a tagliare a fette sempre più piccole la stessa torta».

La Stampa 07.02.12