Tra i paradossi della politica c’è anche questo. Da mesi si discute su come ridurre i costi della politica, via maestra in vista di restituire una qualche credibilità al sistema dei partiti. Negli ultimi giorni, e non senza sofferenza, Camera e Senato hanno definito alcuni parziali interventi volti ad arginare antichi privilegi e a ridurre il costo pro-capite di deputati e senatori.
Misure tutt’altro che rivoluzionarie, decise o forse strappate ai diretti interessati con l’argomento che è urgente risalire la china del discredito.
Ebbene, mentre si sbandierano le poche centinaia di euro risparmiate sui «cedolini» dei parlamentari, ecco che esplode nel Pd l’affare Lusi. Milioni di euro distratti dalle casse della Margherita, un ex partito che sopravvive in qualche modo all’interno del Pd con una propria contabilità, un autonomo flusso di denaro, un bilancio distinto. Vicenda oscura, a dir poco, che sta suscitando infiniti interrogativi. Ci sarà modo di capire se il tesoriere traditore, nel frattempo espulso dal Pd, ha agito da solo o ha goduto di coperture. Certo, è tutto piuttosto strano.
Non ultimo il fatto che tredici milioni scomparsi avrebbero dovuto lasciare una traccia profonda nel bilancio di un semi-partito che non è una multinazionale. Invece nessuno si è accorto di nulla e il solo Arturo Parisi ha ricordato di essersi opposto a bilanci poco convincenti. Il meno che si possa dire è che i flussi del finanziamento pubblico sono eccessivi e incontrollati, se consentono che il denaro in circolazione sia abbondante al punto che tredici milioni svaniti non si notano.
Secondo punto. La compravendita di un palazzo a Roma curata da un senatore del Pdl, Riccardo Conti, che ha realizzato – a quanto pare – una plusvalenza davvero ragguardevole. Ne ha parlato il TgSette di Mentana e ieri il diretto interessato ha smentito sdegnato, con l’appoggio del suo partito. Cosa ha smentito? Non che l’operazione ci sia stata, ma che fosse illegale. Lo disturba l’accostamento a Lusi, perché «in quel caso si tratta di risorse pubbliche, qui invece è il mio lavoro privato» (Conti è un intermediario immobiliare).
E i suoi colleghi di partito lo difendono sullo stesso registro: «Si tratta di un’attività imprenditoriale». Eppure è singolare che sfugga il lato grottesco della vicenda. Siamo in quella zona grigia in cui politica e affari si sfiorano o s’intrecciano. Un senatore della Repubblica non vede alcuna anomalia nel proseguire la sua professione di mediatore sfruttando, si suppone, i contatti e le opportunità che gli si presentano anche grazie al mandato parlamentare (quel mandato che dovrebbe assorbire tutte le sue energie).
Due casi molto diversi: uno (Lusi) incredibile, l’altro (Conti) sconcertante. Il primo configura un grave reato, il secondo quantomeno un’attitudine del tutto inopportuna. Entrambi convergono nell’alimentare senza posa il fiume dell’anti-politica. Altro che limature agli stipendi dei deputati, se poi le prime pagine dei giornali si riempiono di notizie come queste, lasciando intravedere un retroterra di insensibilità civile. Va bene allora mettere mano alle assurdità del finanziamento dei partiti (ma c’era bisogno dell’affare Lusi per accorgersene?). Ben vengano i controlli e il «codice etico» di cui parla Violante. Ma prima di tutto servirebbe che certi personaggi e certe forze politiche si rendessero conto del baratro in cui stanno scivolando.
Il SOle 24 Ore 02.02.12