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“E a soffrire di più sono il Mezzogiorno e le aree industriali”, di Marco Alfieri

Nemmeno la jobless recove- ci salva più. La ripresa senza occupazione che ha tenuto compagnia all’Europa per un biennio (2˚semestre 2009 1˚ trimestre 2011). Giravi per le province industriali del nord – Varese, Vicenza, Treviso, Bergamo, Brescia, Torino, Reggio Emilia, Bologna – e la fotografia era quasi identica: ripresa di ordinativi, export e fatturato rispetto alla gelata 2008 ma calma piatta sull’occupazione.

La Cig non basta più Dalla scorsa primavera anche quello stato di sospensione, lenito dal materasso degli ammortizzatori sociali (30 miliardi spesi in 3 anni e mezzo per finanziare 3,4 miliardi di ore di cassa integrazione che hanno coinvolto oltre 4 milioni di lavoratori), è ormai un lontano ricordo. Il consuntivo 2011 calcolato dalla Cgil parla di 500mila lavoratori in cassa a zero ore, costretti a rinunciare a 8 mila euro in busta paga, pari a un taglio complessivo di 3,6 miliardi. Ma soprattutto di una disoccupazione ufficiale risalita a dicembre all’8,9%, al livello di 11 anni fa, prima della riforma Biagi. Quella reale, sommando gli inattivi che non cercano più, secondo la Cgia di Mestre avrebbe addirittura sfondato la barriera dell’11%. E’ un dato verosimile. Dopo l’estate, infatti, molte casse stanno diventando mobilità e licenziamenti, colpendo impieghi stabili in imprese tradizionali, età elevata e scolarità bassa. I profili più a rischio concorrenza asiatica su prezzo e prodotti.

Le industrie Al ministero dello Sviluppo le crisi industriali aperte sono quasi 250, con oltre 30mila dipendenti nel limbo. Coinvolti gruppi come Alcoa, Fincantieri, Sanofi-Aventis insieme a medie aziende che lavorano sul mercato interno (trasporti, telecomunicazioni e tessile). Finora ha tenuto il commercio: tra il 2000-2010 il settore ha generato quasi 900mila posti di lavoro. Ma quanto potrà resistere? «Rispetto al 2008-2009 spiegano gli economisti di Prometeia – la recessione in corso è dovuta all’andamento della domanda interna». La cassa degli ultimi 3 anni halimato di 48 miliardi i redditi degli italiani. Al sud, «intorno ai poli industriali campani e pugliesi al palo di commesse e costretti a tagliare occupazione – raccontano dalla Uil di Napoli – ci sono territori che vivono di sola Cig».

Meno consumi e occupazione Il risultato è che la spesa reale rischia di restare in rosso fino a metà 2013, per una riduzione complessiva del 4,5%. In particolare i consumi alimentari a fine 2014 potrebbero essere crollati del 9,6% sul 2007. «Siamo nel mezzo di un aggiustamento epocale», ragiona l’amministratore delegato di una nota catena di grande distribuzione. «Aumenta la clientela che sceglie i discount mentre chi frequenta i nostri scaffali si aggiusta al ribasso ripiegando sui prodotti a marchio, che costano il 20-30% in meno». Per Franca Porto, segretaria della Cisl veneta, siamo davanti ad una «disoccupazione di lungo periodo, sconosciuta, che colpisce territori ricchi che hanno avuto piena occupazione per 30 anni». In Lombardia, nell’ultimo anno, sono aumentati del 20% gli addetti incapaci di rioccuparsi nell’arco di 6 mesi, la boa tipica in cui chi veniva espulso dal circuito rientrava in gioco. Certo continua a tirare l’export del Quarto capitalismo internazionalizzato, che ha chiuso il 2011 a +6,2%, dopo la crescita del 12,2% nel 2010. Ma non basta a sollevare il sistema. Le somme da incubo le tira ancora Prometeia: «tra il 2008 e il 2013 avranno perso l’occupazione circa 650 mila persone, mentre il numero dei posti di lavoro si sarà ridotto di quasi 800 mila unità, di cui 700mila nel settore industriale».

I giovani da Milano a Napoli A farne le spese un’altra volta sono i giovani. Già oggi la disoccupazione ufficiale under 24 è arrivata al 31%, in aumento di 3 punti sul 2010. Ma quella reale vale molto di più. In Campania, secondo la Cgia tocca il 51,1%, in Basilicata il 48,3%, nel Lazio il 42,5%, in Sicilia 41,2% seguite a ruota, un po’ a sorpresa, dalle ricche Lombardia (40,3%) Piemonte (37,3%) e Veneto (37,2). Secondo Tito Boeri per fermare l’emorragia bisogna spezzare il circolo vizioso povertà/precariato in aumento al nord/disoccupazione giovanile. «La povertà aumenta (+6% negli ultimi 5 anni tra gli under 45) perché non si riesce ad entrare nel mercato del lavoro, perché ci sono molti lavoratori poco qualificati con lavori temporanei che non tengono il passo dell’inflazione (secondo l’Istat dal 2005 al 2010 il 71,5% dei neoassunti viene inquadrato con contratti a termine) e perché chi non è tutelato perde il posto», scrive l’economista della Bocconi. Lo si vede da alcuni segnali deboli: 2 giovani su 10 usciti di casa negli anni passati nel 2011 sono tornati all’ovile, in mancanza di altri ammortizzatori sociali. «In 10 anni abbiamo perso quasi 30 punti di competitività con la Germania. Chi viene espulso dal mercato e chi fatica ad entrare spesso è chi ha maggiore capitale umano e potrebbe contribuire a rendere più competitive le nostre imprese», continua Boeri. Non a caso nella Germania che tiene testa alla Cina la disoccupazione giovanile è ferma al 7,8%, 4 volte meno che in Italia.

La Stampa 01.02.12