Mese: Gennaio 2012

"Il Questionario di Davos", di Federico Fubini

Lo spread dei Btp sui Bund, il termometro della febbre, è più basso di quando Standard & Poor’s declassò l’Italia due settimane fa. Ieri era a quota 404 punti, allora era a 487. L’agenzia di rating quel giorno spiegò la sua decisione dicendo che il mercato di fatto l’aveva già presa, ma forse è proprio perché S&P si è limitata a seguire gli investitori che questi ora rifiutano di seguire lei: in quella scelta non c’era molta analisi dei dati di fondo del Paese, dalla riforma pensioni al taglio del deficit verso quota zero. Era solo la presa d’atto che un debitore può finire in difficoltà se i suoi creditori pensano che lo sia, lesinandogli dunque i prestiti. Simili osservazioni si potrebbero muovere da ieri sera sul conto di Fitch. Anche la terza delle grandi società di valutazione ieri ha tagliato di due gradini il giudizio sull’affidabilità finanziaria dell’Italia, benché il suo rating resti sopra a quello delle concorrenti S&P e Moody’s. Ma le motivazioni suonano decisamente familiari. Fitch parla dell’assenza di quello che chiama …

"Italia, troppi primati negativi", di Guelfo Fiore

Mandare a quel paese le agenzie di rating, ammettiamolo, dà gusto. Soprattutto se a farlo con noi sono i mitici “mercati”, fregandosene delle bocciature distribuite con irritante prodigalità. Compiuta però la gradevole operazione non è che ci ritroviamo meno malconci di prima. Forse la serie B assegnataci da Standard&Poor’s, in attesa che le sorelle la imitino, non è meritata, ma in quante altre classifiche l’Italia sta messa proprio male. Non avranno, queste graduatorie, le stesse conseguenze delle retrocessioni decise da “Qui, Quo e Qua” – come le spernacchia Romano Prodi – però non ci fanno fare lo stesso una bella figura. E alla fine, sommate, danno materia agli estensori di outlook negativi e giustificano mortificanti downgrade. Per cominciare, la più fresca, fornita qualche giorno fa dal ministro Severino alle camere: da noi occorrono in media 1210 giorni per conoscere, in primo grado, l’esito di un processo civile, siamo all’ultimo posto tra i paesi Ocse; secondo il “Rapporto doing business” l’Italia è al 157° posto su 183 paesi censiti per il recupero di un credito commerciale: …

"La nostalgia dell´uguaglianza", di Adriano Sofri

L´equità è un´uguaglianza cui sono state messe le braghe, come ai nudi della Cappella Sistina. Bisognava farlo, perché ci fu un momento in cui l´uguaglianza smise di essere guardata negli occhi, e pagò il pegno della temerarietà. Fu allora che le cose cominciarono a essere guardate di sotto in su, dal lato della disuguaglianza, e lo spettacolo era davvero madornale. Sul conto dello scandalo per l´”appiattimento” e il “livellamento” si banchettò a oltranza per qualche decennio, e la disuguaglianza – di soldi e di potere – non fece che moltiplicarsi. Non passa giorno senza che le statistiche ne registrino nuovi record. Assoluti, e non solo relativi. Non, cioè, di redditi che crescono, benché gli uni molto di più degli altri, bensì dei redditi che crescono a dismisura mentre gli altri diminuiscono. Le statistiche arrivano a sancire quello che le persone avevano capito da un bel po´, però fanno sempre il loro effetto. Ne vorrei leggere una sul reddito e il patrimonio medio dei presidenti del consiglio e dei loro ministri, dal dopoguerra a oggi. Dal …

Per l’occupazione giovanile e femminile

Contributo del PD al confronto tra forze sociali e governo sul tema del Lavoro, in coerenza con le proposte approvate dall’Assemblea Nazionale del PD del maggio 2010 e dalla Conferenza per il Lavoro di Giugno 2011. Il cambiamento della politica macroeconomica nell’area euro per uno sviluppo sostenibile è condizione necessaria per aumentare l’occupazione e contrastare la precarietà, in particolare giovanile e femminile. A complemento di tale strategia, in Italia si possono prevedere alcuni interventi specifici per il mercato del lavoro: – 1 la definizione di un contratto per l’ingresso dei giovani e per il reingresso dei lavoratori e delle lavoratrici deboli al lavoro stabile (sostituisce il “contratto di apprendistato professionalizzante”, il “contratto di apprendistato di alta qualificazione” ed il “contrato di inserimento”). Uno strumento di inserimento e reinserimento formativo caratterizzato da durata da 6 mesi a tre anni definita dalla contrattazione collettiva, livello contributivo inferiore a quanto in vigore per i “contratti atipici”, retribuzione crescente fino ai livelli delle qualifiche corrispondenti previsti nel contratto collettivo nazionale di riferimento, agevolazioni contributive per il triennio successivo alla …

"Il problema non è il titolo di studio ma i baroni", di Benedetto Vertecchi

Mi auguro che l’accantonamento, sia pure temporaneo, della proposta di intervenire sul valore legale dei titoli di studio sia solo la premessa del suo abbandono. Ancora una volta, di fronte alla crisi innegabile che attanaglia le nostre università, la soluzione è stata trovata in una cura sintomatica. Non si interviene sulle cause del disagio profondo che limita la capacità dei nostri atenei di assumere quel ruolo propulsivo che dovrebbero avere nello sviluppo del Paese e ci si trincera dietro interventi di facciata, che lasciano che il male annidato nel sistema degli studi superiori continui a crescere. Nessuno dubita che il valore legale dei titoli di studio appaia, nelle condizioni attuali, molto appannato, e che non si possa avere nei confronti delle certificazioni accademiche la fiducia che ne dovrebbe accompagnare il rilascio. In queste condizioni abolire, o anche limitare com’era nelle proposte avanzate nei giorni passati, il valore legale dei titoli equivarrebbe a lasciare che quanti hanno operato per disgregare la cultura accademica, trasformando le università in centri di potere, abbiano le mani libere per proseguire …

"Una generazione ai margini", di Francesco Barbaro *

Caro direttore, l’affermazione del viceministro Martone, secondo cui i non laureati a 28 anni sarebbero degli sfigati, ha già raccolto la sua buona parte di riprovazione, dopo la quale non credo ci sia più nulla da aggiungere sul tema del rispetto che dovrebbe essere osservato nei confronti delle parti sociali di un Paese. Ma ecco che, una volta sfogatosi il risentimento generale, qualcuno si alza per sostenere che forse, al di là del modo di esprimersi un pò sfigato, il concetto espresso non era del tutto sbagliato. Su questo punto ciascuno rimarrà della propria opinione: chi si trova a dovere regolare dall’alto un sistema basato sulla competizione, continuerà a pensare che l’unica cosa importante sia essere competitivi; chi si trova a dovere sopravvivere con l’acqua alla gola, non potrà fare altro che prendere fiato e cercare di non affogare. D’altra parte, sono infiniti, e non solo economici, i motivi per cui uno studente possa finire fuori corso di parecchi anni. Proviamo per un attimo, però, a considerare certi altri ritardi dell’Università, spostando la nostra attenzione …