Mi aspettavo una risposta di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, al mio articolo di domenica che si apriva con una lunga citazione da un´intervista che Luciano Lama ci dette nel gennaio del 1978. Me l´aspettavo e la ringrazio vivamente di avercela inviata. Avevo anche deciso che non l´avrei commentata poiché speravo che – pure ribadendo i punti di vista del sindacato da far valere al tavolo del negoziato con il governo – avrebbe dimostrato d´aver capito quale sia la situazione attuale nella quale si trova l´economia dell´Italia, dell´Europa e di tutto l´Occidente.
L´intervista con Lama da me citata poteva essere di grande insegnamento: un dirigente sindacale metteva l´interesse generale al di sopra del pur legittimo “particulare” e faceva diventare il sindacato un protagonista attraverso una politica di sacrifici che andavano dalla licenziabilità alla moderazione sindacale, alla riduzione della cassa integrazione, con la principale finalità di far diminuire la disoccupazione e aprire l´occupazione alle nuove leve giovanili.
Purtroppo non ho trovato, nella risposta della Camusso, l´intelligenza politica che in altre recenti circostanze aveva dimostrato. È possibile che la sua rigidità su tutti i piani della discussione sia una tattica negoziale, ma temo di no. La Camusso sa che il governo tenterà di arrivare a un accordo, ma se la controparte sindacale dicesse no su tutti i punti, andrà avanti comunque perché la riforma del mercato del lavoro è un tassello essenziale del mosaico che il governo sta componendo. Ogni tattica negoziale è quindi inutile, il tempo a disposizione è limitato, la crisi e la recessione sono ancora tutt´altro che domate. Non di tattica sindacalese c´è bisogno, ma di strategia politica e realistica. Perciò risponderò alla lettera del segretario della Cgil; servirà almeno a chiarire alcuni aspetti del problema che mi sembra siano sfuggiti alla sua attenzione. La Camusso sostiene che l´elemento dominante della crisi sta nell´occupazione precaria e nella disoccupazione.
Che il precariato sia un fenomeno deprecabile che va affrontato con energia e priorità è una verità ammessa da tutti. Il governo Prodi del 2007 lo poneva al primo posto del suo programma, anche se non riuscì a ottenere alcun risultato: era un governo con due voti di maggioranza e poteva far ben poco. Ma il governo Prodi del 1996, che aveva ben altra forza politica, fu quello che introdusse la flessibilità del lavoro con i provvedimenti caldeggiati dal ministro Treu.
Dunque il precariato è un male, la flessibilità un bene in un´economia aperta e globalizzata. Il Lama del ´78 già lo diceva a chiare lettere, era uno dei punti essenziali dell´intervista da me citata.
Il precariato non si sconfigge abolendo la flessibilità perché la flessibilità, se è ben strutturata attraverso una riforma dei contratti, rappresenta l´alternativa al precariato. La Camusso dovrebbe saperlo e aprirsi a questo discorso, non arroccarsi.
Ma se è vero che il precariato è un male (ed è certamente vero) non è invece vero che il precariato sia la causa della crisi. Qui la Camusso sbaglia radicalmente. Il precariato e la disoccupazione sono gli effetti della crisi insieme alla recessione e alla “stagflation”, ma le cause sono del tutto diverse.
Le cause sono l´esplosione del debito, la finanziarizzazione dell´economia.
L´emergere di nuovi attori nell´economia mondiale e la legge dei vasi comunicanti che la globalizzazione ha reso effettiva.
Dice la Camusso che il mondo attuale è molto cambiato rispetto a quello di Lama. L´ho detto anch´io domenica scorsa e del resto è ovvio che sia cambiato, ma in che modo è cambiato? Nella divisione internazionale del lavoro, nell´inesistenza dei diritti sindacali nei Paesi nostri concorrenti, nell´inesistenza dei diritti di cittadinanza in quegli stessi Paesi, nella povertà di milioni e milioni di persone nell´Africa centrale e settentrionale, decisi ad affrontare la morte pur di sbarcare sulle sponde mediterranee dell´Europa opulenta.
I lavoratori e le imprese europee (e italiane) debbono fronteggiare le esportazioni cinesi, coreane, indonesiane, prodotte a costi molto più bassi dei nostri e non si tratta più di pigiamini di seta o di chincaglieria di varia amenità, ma di alte tecnologie dove l´invenzione si accoppia con bassissimi costi della manodopera. Come si impedisce in un´economia aperta una concorrenza di questa natura? Con i dazi? La Camusso pensa di blindare l´Europa (e l´Italia) con una impenetrabile cinta di protezionismo? E come pensa che quei Paesi reagirebbero se non rispondendo in egual modo alle nostre esportazioni? Come pensa di fermare la de-localizzazione delle imprese italiane che hanno convenienza a portare all´estero interi settori delle loro lavorazioni? L´esempio di Marchionne non insegna nulla? Vuole la Camusso generalizzare al sistema Italia la politica ideologico-sindacale della Fiom?
Difendere i diritti sindacali è sacrosanto, dare battaglia per i diritti di rappresentanza anche ai sindacati che non hanno firmato i contratti è più che giusto, ma chiudere gli occhi di fronte alla realtà è una sciagura.
Quanto al debito, è un dato di fatto che i suoi nodi vengano inevitabilmente al pettine dopo una o due generazioni ed è quanto sta accadendo. La recessione – come il precariato – non è causa della crisi ma effetto. Se la fiducia scompare non è colpa della speculazione. La speculazione, gentile Susanna, gioca indifferentemente al rialzo come al ribasso. Se scompare la fiducia gioca al ribasso e finché la fiducia non torna il ribasso ha la meglio.
Il ribasso ha come effetto un costo del debito insostenibile. Lei, cara Camusso, sostiene che i lavoratori hanno già dato. E le famiglie che hanno investito in titoli del debito pubblico italiano come pensa che stiano? Il 17 per cento di quel debito pubblico è posseduto da privati cittadini italiani, il 40 per cento da banche italiane. Lei pensa che con queste cifre si possa scherzare?
Nel 1978, quando Lama proponeva ai lavoratori una politica di austerità e sacrifici, la situazione era certamente diversa; allora la Cina e le “tigri asiatiche” erano ancora addormentate. L´economia italiana non aveva problemi di questa portata. Eppure Lama riteneva che solo con una politica di sacrifici la classe operaia poteva aspirare alla guida morale e politica della società italiana.
Oggi si tratta di salvare il salvabile e di far valere il principio dei vasi comunicanti anche all´interno della nostra società.
Concordo pienamente con Lei, cara Camusso, sulla necessità di combattere le disuguaglianze. Questo nostro giornale ha fatto di questo tema uno dei punti essenziali del nostro discorso con la pubblica opinione. Libertà ed eguaglianza.
Con cautela. La libertà ha bisogno di regole, l´eguaglianza significa aprire al merito a pari condizioni di partenza.
Questa è la società aperta, con un fisco che redistribuisca il benessere con equità. Ma produrre benessere oggi è più difficile di prima e la libertà è l´altro principio fondamentale affinché il benessere sia prodotto.
Personalmente non mi sono mai commosso quando sentivo cantare Bandiera rossa, ma quando ascoltavo la Marsigliese, allora sì, sentivo qualcosa che si agitava nel mio animo.
Fu l´inno che celebrava i tre grandi principi dell´Europa moderna: libertà, eguaglianza, fraternità. Se il sindacato dei lavoratori li facesse propri, potrebbe ancora ridiventare (lo fu per molti anni) il protagonista della nuova modernità sapendo però che non si tratta d´un protagonismo indolore.
Lei parla d´una dose massiccia di intervento pubblico in economia. Ci vuole sicuramente l´intervento pubblico ma non è mai a costo zero. Bisogna che ci siano risorse. Bisogna che ci siano anche per una nuova ed efficiente architettura degli ammortizzatori sociali. La lotta all´evasione può dare risorse e può far diminuire la pressione fiscale. Le altre risorse possono derivare dalla lotta agli sprechi e ai privilegi. Questo governo è impegnato al raggiungimento di questi obiettivi. La riforma del mercato del lavoro fa parte di questa strategia e non può esser fatta se non col vostro aiuto che, a mio modo di vedere, può esser dato con l´intento di farvi carico dell´interesse generale entro il quale la coesione sociale e il rispetto dei diritti dei lavoratori sono legittimi obiettivi.
“No taxation without representation” ma “no representation without taxation”. Non è una metafora ma la realtà e scacciare dalla porta la realtà è impossibile perché rientrerà inevitabilmente dalla finestra. Luciano Lama questo l´aveva capito.
La Repubblica 31.01.12