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«Al giuramento mi disse: non frequentare i salotti», intervista a Pier Luigi Bersani di Maria Zegarelli

Erano i giorni del famoso discorso televisivo del 9 novembre 1993, quel «non ci sto» pronunciato davanti a milioni di italiani, ma diretto soprattutto a chi stava manovrando nell’oscurità della Repubblica quasi a volerlo ricattare. «Il presidente Scalfaro venne in visita ufficiale in Emilia, era amareggiato ma determinato ad andare avanti. Gli dissi: “Presidente, facciamo una passeggiata, a piedi”. Quando la gente lo vide iniziò in coro a dirgli di resistere, di non mollare».

Gli italiani «avevano capito che stava accadendo qualcosa di importante e che era in gioco la struttura stessa della nostra democrazia e la tenuta delle istituzioni. Avevano capito che il presidente della Repubblica stava difendendo entrambe le cose avendo come unico faro la Costituzione».

Pier Luigi Bersani accende il suo toscano, al secondo piano del Nazareno, e per un po’ spegne il telefono. Raccontare un uomo che non c’è più, ripescando nei ricordi i momenti che più ne rappresentano lo stile, lo spessore e i tratti più forti del carattere, è come riannodare i fili tra la vita e la morte, tra il passato e il presente.
Il suo rapporto con Oscar Luigi Scalfaro iniziò durante gli anni in cui era presidente dell’Emilia Romagna e si consolidò, poco più tardi, quando fu chiamato a giurare nelle
sue mani come ministro. «Ci sentivamo spesso al telefono per fare qualche chiacchiera “fuori sacco” ed è difficile adesso selezionare i ricordi».
Quelli più intensi corrono indietro, ai giorni della «tempesta» che colpì il Quirinale, delle vecchie storie tirate fuori come bombe ad orologeria (le pene capitali che Scalfaro giovane magistrato inflisse subito dopo la guerra), i finti dossier. «Era scosso, sapeva che stavano mettendo alla prova la sua tenuta,ma era consapevole
che la partita era altra. In gioco non era soltanto la sua persona bensì la tenuta stessa delle istituzioni».
Questo era il suo tormento da uomo che la Costituzione aveva contribuito a scriverla. Ogni volta che ne parlava «ricordava la sua emozione, in quei giorni intensi e straordinari della Costituente, quando si sedeva, lui poco più che ventenne, affianco ai “padri nobili” della politica». Anni mai tranquilli quelli della presidenza Scalfaro: anni di fine prima Repubblica ed esordio della seconda con la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Ancora una prova di “tenuta”. «Quando Berlusconi pretese
lo scioglimento delle Camere per tornare al voto, Scalfaro disse uno dei suoi irrevocabili “No” – ricorda il segretarioPd- perché era fermamente legato alla Costituzione». Intoccabile la prima parte, ne avevano parlato spesso durante i loro incontri, «ma era convinto che alcuni passaggi andassero aggiornati restando ancorati
allo spirito della Costituzione».Da qui anche il suo atteggiamento verso il Cavaliere, «non posso escludere che fra i due abbia pesato una differenza stilistica. Ma trovo
sbagliato oggi, come allora, – prosegue il segretario – considerare la posizione di Scalfaro come un puntiglio personale.Non era così, era una puntigliosa difesa della Costituzione». Il limite invalicabile, la Carta fondante della Repubblica. Un altro incontro ci fu quando Bersani andò a giurare da ministro del governo Prodi: «Mi disse “tu sei uno di provincia come me, cerca di rimanere come sei”. Poi in tono quasi perentorio aggiunse: “Frequenta poco i salotti”». Nessuna fatica, aggiunge sorridendo il segretario Pd, a seguire quel consiglio-monito, frutto di un rapporto costante, fatto «di biglietti di incoraggiamento o telefonate che arrivavano nei momenti politici più delicati», che a rivederli oggi sono un po’ la sequenza degli ultimi tortuosi anni della storia di questo Paese. Appunti preziosi, però, «soprattutto ora che gli estensori della Costituzione stanno andando via lasciando un vuoto che spetta a noi riempire. Spetta a noi tenere fermi i valori e i principi di cui uomini come
Scalfaro sono diventati la bandiera».E si torna sempre lì, al ruolo dei partiti e all’idea di democrazia che vogliono incarnare. «Quando penso al Pd penso a quel suo modo
di vivere la funzione politica: Scalfaro era un uomo profondamente religioso, eppure uno dei suoi tratti distintivi più significativi è stato la sua capacità di dimostrare che le convinzioni più profonde non solo non confliggono con l’idea di laicità e responsabilità politica ma ne possono essere un motore formidabile». E che cosa è il Pd se non questo? si chiede a voce alta. Chi può incarnare meglio del Pd quei valori
su cui si fonda la Carta fondamentale dello Stato? «Ci ha sempre incoraggiato a noi del Pd. Andare avanti su questa strada parlando soprattutto ai più giovani, questo
era il suo pensiero costante in questi ultimi anni. Ci ha sempre seguito con grande simpatia e oggi che non c’è più c’è una frase che mi torna in mente. Penso ad Orazio,
“Nabis sine cortice”». Nuoterai senza salvagente. Che non vuol dire restare a galla,
vuol dire «attraversare anche le onde tempestose» senza mai perdere di vista la terra. «Spetta a noi, al partito democratico presidiare saldamente la Costituzione ed essere protagonisti del vero dibattito che la politica deve fare – continua -. Lo
dico anche al centrodestra. Quale idea di democrazia abbiamo? Quale legge elettorale vogliamo fare, come vogliamo superare il bicameralismo?». Riportare in alto il livello della discussione «è il modo migliore di rendere omaggio a uomini come Scalfaro», così come «deporre l’animosità su di lui da parte del Pdl vorrebbe dire ricondurre quella fase della politica a ciò che è stata realmente: la difesa delle istituzioni da parte di chi ne era la massima rappresentanza».
Era una questione istituzionale, ripete Bersani, non personale. Una questione condotta con lo stile dell’uomo che era l’allora presidente della Repubblica: «La sua idea di democrazia lo proiettava sempre avanti e gli aveva dato la percezione
di quanto pericoloso fosse attuare una riforma senza riforma, capace di mettere a repentaglio le fondamenta delle istituzioni». I «no» irreversibili, che mai sarebbero potuti diventare «sì» dopo «piccoli compromessi ». Come quel «no» che impose sul nome di Cesare Previti a ministro della Giustizia. Un’immagine che balza alla mente pensando a Scalfaro? «La freschezza delle sue idee, anche a novant’anni».

L’Unità 31.01.12