Il confronto tra governo e parti sociali sul riordino del mercato del lavoro è oggetto di forti pressioni da parte dei due principali giornali del Paese. L’editoriale di ieri del «Corriere della sera» invitava il governo a procedere speditamente per non dare l’impressione di usare due pesi e due misure nei confronti delle costituency sociali di centrodestra e centrosinistra. L’abolizione della cassa integrazione e il superamento dell’articolo 18, insomma, dovrebbero riequilibrare gli interventi sulle liberalizzazioni. Si tratta evidentemente di una tesi senza capo né coda: infatti i durissimi interventi sulle pensioni come e dove andrebbero collocati? E l’inopinato aumento delle accise sui carburanti con il conseguente effetto sull’inflazione? E come si può pensare di fare un confronto prescindendo dal merito e dal rapporto che questo ha con la condizione dell’occupazione, su cui la crisi continua a incidere, o con l’assenza confermata dal governo delle risorse necessarie per una profonda riforma che allarghi le tutele e non le riduca? Ma anche Eugenio Scalfari su Repubblica ha ripreso ieri il tema della responsabilità del sindacato in occasione delle più gravi crisi del Paese, invitando la Cgil e le altre confederazioni a fare anche adesso la loro parte e a sostenere lo sforzo del governo. L’esortazione di Scalfari è comprensibile, ma meno convincente è mettere assieme stagioni politiche e sociali tanto diverse e soprattutto non affrontare i temi di merito e la natura delle questioni che possono dividere sindacati e governo.
Entrambi gli articoli in realtà sono figli di una medesima preoccupazione ma rimuovono il merito, mentre sarà proprio questo a segnare l’esito del confronto, tanto più necessario in quanto non è la concessione a un rito nostalgico o alla difesa di interessi corporativi, bensì il rispetto che si deve a chi da tre anni, giorno dopo giorno, è impegnato a governare crisi, ristrutturazioni e licenziamenti.
C’è infatti una grande distanza tra gli schemi astratti e la realtà che si vive. Ad esempio: superare la cassa straordinaria in questa crisi vuol dire licenziare centinaia di migliaia di lavoratori. Si vuole questo? Si abbia il coraggio di dirlo. Non lo si vuole? Allora si discuta. La stessa questione della precarietà che va sradicata deve partire dal superamento delle 46 forme e tipologie di contratti oggi esistenti e dai differenziali di costo che rendono troppo conveniente il loro uso. In sostanza bisogna affrontare i punti di merito del documento unitario Cgil, Cisl, Uil e poi lavorare per trovare le soluzioni condivise. Circola una strana teoria del tabù. Può qualcuno spiegare perché, a proposito di esperienze europee, nessuno mai fa riferimento al modello tedesco (che nella crisi ha perso meno lavoro e tiene i lavoratori in azienda, riducendo gli orari di lavoro con lo Stato che integra le retribuzioni)? E ancora: se si aumenta l’età di permanenza al lavoro, quando si affronta il tema della seniority e cioè delle nuove tutele e possibilità dei lavoratori ultrasessantenni per evitare che le aziende li mettano fuori dall’organizzazione produttiva? E quando si parla di mobilità a cosa ci si riferisce? Ai licenziamenti? Alla mobilità di un lavoratore sardo o siciliano? A una presunta rigidità del lavoro italiano, magari a causa dell’articolo 18? Perché, se fosse così, è evidente la clamorosa inversione tra cause ed effetti nel leggere la situazione produttiva e sociale italiana. Altri sono i temi da affrontare più utilmente: la formazione, la formazione permanente, l’apprendistato per i giovani e i contratti di inserimento per le persone svantaggiate, la flessibilità nell’organizzazione del lavoro. Tutti temi che possono far crescere la produttività aziendale insieme con gli investimenti e l’innovazione di prodotto. Il governo ha di fronte a sé due strade: aprire un confronto vero, ascoltare le ragioni di chi giorno dopo giorno si sforza di governare gli effetti di una crisi devastante, ricercare le migliori soluzioni che su questa materia sono quelle condivise; oppure procedere secondo le proprie convinzioni, magari dopo una serie di incontri rituali. In queste ultime settimane il Paese è stato attraversato da tanti e complessi movimenti di protesta, molti dei quali tuttora in corso. L’Italia non ha bisogno di altre divisioni e conflitti, semmai di coesione e giustizia nei sacrifici. Ci vuole perciò responsabilità e misura anche in questa occasione e in questo confronto. Anche perché una divisione sociale più profonda non lascerebbe inalterato lo stesso quadro politico.
da L’Unità