Il vertice europeo di oggi si impegnerà a mostrare che si fa qualcosa anche per la crescita economica. I fondi a favore dell’Italia sono una buona notizia.
Anche perché sono stati sbloccati da azioni efficaci dell’attuale governo. Ma non illudiamoci: finché non sarà trovato un meccanismo migliore per governare l’euro, il resto del mondo continuerà a guardare verso il nostro continente con il timore che la sua malattia comprometta la salute economica di tutti.
Per anni eravamo stati orgogliosi che l’Europa indicasse ai Paesi emergenti un modello sociale che, a ragione, ritenevamo più equo di quello americano, e un modello politico di cooperazione sovrannazionale tra popoli di lingue e storie diverse, in passato nemici. Rischiamo ora di diffondere nel mondo lo scetticismo verso ogni tentativo di superare sovranità ed egoismi nazionali.
Scopriamo ora che nell’avanzare veloce della globalizzazione i Paesi dell’euro sono divenuti molto più interdipendenti di quanto i loro governi credessero. Ieri un ministro tedesco ha confermato che esisteva davvero la richiesta di commissariare dall’esterno la politica economica greca. Non sarà accolta, ma occorre riflettere su perché è nata.
Come italiani, abbiamo mostrato di essere meglio capaci di governarci della Grecia. Quasi contemporaneamente i due Paesi si erano dati governi tecnici appoggiati dai due maggiori partiti rivali. La differenza evidente è ora che Mario Monti ha preso numerose decisioni importanti e gode di un consenso ampio tra i cittadini; mentre Lukas Papademos, a cui già i partiti avevano assegnato un tempo troppo breve, cade nei sondaggi di opinione e non riesce a realizzare gli impegni.
Sarà una coincidenza, ma la richiesta tedesca è stata rivelata dal Financial Times proprio pochi giorni dopo che il Parlamento di Atene aveva bocciato una proposta di ampliare gli orari delle farmacie (sì, il dinamismo di un’economia è fatto di una somma di tanti piccoli dettagli, nessuno all’apparenza decisivo). Naturalmente sono anche gli aspetti maggiori del risanamento ellenico a restare carenti: scarsi successi contro l’evasione fiscale, ritardi nel liberalizzare le professioni, ostacoli alla vendita delle aziende pubbliche. Tutte cose che noi italiani capiamo al volo.
Si può capire l’esasperazione dei tedeschi; però oltre ad essere giuridicamente impraticabile il commissariamento della Grecia non coglieva il punto. Non si tratta di calare dall’esterno qualcuno che decide; si tratta di saper attuare le decisioni prese. Se gli uffici tributari greci non sono capaci di scovare gli evasori, certo non lo diventerebbero se glielo si ordinasse in tedesco. L’esempio è utile: dimostriamo che, invece, noi italiani possiamo riuscirci.
Diventa perciò sempre più difficile escogitare strumenti per salvare la Grecia. Intanto nei giorni scorsi il timore di un default greco ha aggravato le condizioni del Portogallo, nonostante che a questo Paese non servano nuovi fondi fino all’anno prossimo. Forse l’Italia, come altre volte in passato, sotto un pesante vincolo esterno sta riuscendo a reagire bene. Ma per ridurre la profondità della recessione che ci investe occorre prima di tutto che lo spread cali ancora.
Per una svolta risolutiva occorre che l’area euro sappia muoversi su un terreno del tutto inesplorato. E’ ancora possibile, e come, evitare un default della Grecia? Sia che si tenti di sostenerla ancora, prolungando l’incertezza, sia nel caso contrario, come evitare il contagio al Portogallo? E se la strategia tedesca è di tirare in lungo per vedere quali Paesi ce la fanno e quali no, qual è il momento in cui si rende noto il verdetto?
da La Stampa del 30 gennaio 2012