memoria, politica italiana

"La costituzione come bandiera", di Gustavo Zagrebelsky in ricordo di Oscar Luigi Scalfaro

Quella virtù di dire no che ha salvato il Paese dalle forzature autoritarie

Poche parole, a poche ore dalla morte del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: un uomo politico e un servitore della Costituzione rigoroso, roccioso e intransigente e, proprio per questo, molto amato e anche molto osteggiato.
“Non c´è da temere mai di fronte alle pressioni esterne. L´unico che può temerle è chi è ricattabile”: sono parole sue, rivolte ai giudici ma valide con riguardo a qualunque magistratura e tanto più valide in quanto riferite alle più alte cariche della Repubblica. Di queste, la prima e fondamentale “prestazione” costituzionale che si ha necessità e diritto di pretendere, soprattutto nei tempi di incertezza o di crisi, è la rassicurazione che viene dalla serenità e dalla forza, cioè dalla certezza che non vi possono essere cedimenti e deviazioni.
Altri, col tempo e con la riflessione necessari, scriveranno di lui e della sua opera nella storia della Repubblica, una storia che la copre dall´inizio all´altro ieri. Allora si faranno bilanci. Nella commozione del momento, vorrei ricordarlo con parole nelle quali egli probabilmente si riconoscerebbe volentieri, quasi come in un suo motto: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37).
Una delle cause del degrado e della corruzione della vita pubblica nel nostro Paese, egli l´imputava ai troppi sì che si dicono da parte di chi avrebbe il dovere di dire di no, in modo di stabilire il confine del lecito e dell´illecito e quindi il territorio entro il quale può legittimamente valere il gioco democratico. Quelle che seguono sono sue parole: «Il compito del Capo dello Stato non è quello di essere equidistante tra due parti politiche. Sarebbe fin troppo facile. Si dà ragione una volta all´uno e una volta all´altro e si sta a posto con la coscienza. No, il compito del Capo dello Stato è quello di garantire il rispetto della Costituzione su cui ha giurato. Di difenderla a ogni costo, senza guardare in faccia nessuno. Tra il ladro e il carabiniere non si può essere equidistanti: se qualcuno dice di esserlo vuol dire che ha già deciso di stare con il ladro». L´imparzialità di cui la Costituzione ha bisogno non è dunque un´equidistanza senza carattere, ma presuppone che si stabilisca quali sono le parti le cui pretese sono legittime e che da queste siano tenute separate quelle che non lo sono. Soprattutto nei momenti di turbolenza e di tentativi di forzatura, il Capo dello Stato non può esimersi dal compito – un compito che nell´ordinaria vita costituzionale gli è risparmiato – di stabilire i confini tra il lecito e l´illecito costituzionale. Tra questi due poli non può esservi imparzialità. In una Costituzione pluralista e inclusiva com´è la nostra, il terreno dell´inclusione costituzionale è assai ampio ma non è certo illimitato. Una Costituzione che “costituzionalizzasse” tutto e il contrario di tutto sarebbe non una costituzione ma il caos.
È perfino superfluo ricordare che gli anni del settennato presidenziale di Scalfaro furono un periodo di accesissime polemiche e non infondati timori per la “tenuta” delle istituzioni costituzionali. Al centro delle tensioni si trovò proprio la Presidenza della Repubblica e la sua interpretazione della Costituzione. Non furono solo polemiche verbali ma anche attacchi personali il cui obbiettivo era trasparente. Il drammatico discorso televisivo delle 9 della sera del 3 novembre 1993, il discorso del “non ci sto”, fu al tempo stesso una denuncia e una risposta. La reazione dell´opinione pubblica non iniziata alle segrete cose fu, inizialmente, di sconcerto. Non si comprendeva che cosa stesse accadendo, anche se si avvertiva l´eccezionalità del momento e delle parole appena udite, che alludevano a manovre tanto più inquietanti quanto meno limpide. Col senno di poi, comprendiamo che quelle tre parole dicevano a chi doveva intendere: “ho compreso” e un “sappiate che cedimenti non sono alle viste”. Che cosa “ho compreso”? Si dice che fosse in atto un attacco, un ricatto al Capo dello Stato da parte di uomini della maggioranza d´allora, che non lo consideravano malleabile. La parte finale del discorso allude certamente a ciò. Ma la parte iniziale è quella che deve essere riascoltata oggi. Vi si parla non di un atto grande e conclamato, contro la Costituzione e le sue istituzioni. Si parla di degrado e corruzione attraverso piccoli cedimenti, di per sé poco evidenti, ma tali da sommarsi l´uno all´altro e di fare massa, fino al momento in cui, quando ci se ne fosse accorti e si fosse voluto reagire, sarebbe stato troppo tardi. Qui, nel “bel paese là dove il sì suona” troppo frequentemente, i “no” scalfariani sono stati una scossa salutare. Egli stesso ne era orgoglioso. Nelle sue numerose e generose interviste, conferenze, lezioni degli ultimi anni, usava ricordare agli uditori, che avevano evidentemente bisogno di parole di rigore e le salutavano con entusiasmo, i tre rotondi “no” (senza “il di più” satanico) che seguirono alla richiesta di elezioni anticipate dopo la rottura dell´alleanza Lega-Forza Italia nel 1994. Quei “no” hanno salvato la Costituzione da quella che sarebbe stata una prima interpretazione anti-parlamentare destinata a fare scuola, secondo la quale il presidente del Consiglio può pretendere nuove elezioni per essere “plebiscitato” contro un Parlamento che non sta alle sue volontà. Scalfaro è stato la prima pietra d´inciampo nella marcia verso qualcosa d´inquietante, una sorta di “democrazia d´investitura” personalistica che non sappiamo dove ci avrebbe portato. Se, oggi, il presidente della Repubblica ha potuto resistere alle pressioni per elezioni anticipate, a seguito delle dimissioni del governo Berlusconi, lo dobbiamo anche alla fermezza mostrata allora dal presidente Scalfaro.
Ma altri, importantissimi “no” sono stati pronunciati. Non possiamo dimenticare con quale alto senso della laicità delle istituzioni repubblicane, egli – cattolicissimo – rivendicò davanti al Papa il suo essere presidente di tutti gli italiani, credenti e non credenti, cattolici e non cattolici, quando è tanto facile acquisire meriti e farsi belli agli occhi della gerarchia ecclesiastica, appellandosi alla tradizione cattolica, maggioritaria in Italia. Così, le questioni di fede o non fede, con lui, non erano mai motivi di divisione. Ciò che mi pare contasse davvero era l´evangelica rettitudine del sentire e dell´agire. Questo spiega l´ottimo rapporto personale – ch´egli soleva ricordare – con tanti galantuomini d´altri partiti, talora lontani politicamente dal suo e, al contrario, il pessimo rapporto con chi galantuomo non era, ancorché del suo stesso partito.
Infine, il suo impegno per la difesa della Costituzione, nel quale fino all´ultimo non risparmiò le sue energie. Presiedette il comitato Salviamo la Costituzione, al quale si deve un contributo decisivo alla vittoria nel referendum del 2006, che impedì una trasformazione profonda e ambigua delle nostre istituzioni. Ecco un altro no. Alla Costituzione andavano costantemente i suoi pensieri, consapevole ch´essa rappresenta uno dei frutti più elevati della cultura e della politica del nostro Paese. E insieme alla Costituzione, la Resistenza che ne è la radice storica e morale. Nel discorso alle Camere riunite, in occasione del giuramento, il 28 maggio 1992, rese omaggio agli uomini e alle donne che parteciparono alla lotta di Liberazione. La Costituzione “io non l´ho pagata nella Resistenza […] Altri non la votarono ma la pagarono con la vita. Non dimentichiamolo mai”. Retorica, diranno coloro ai quali questa Costituzione non aggrada. Parole profonde, diranno invece coloro che hanno consapevolezza del valore storico di quel periodo della nostra storia e del suo frutto più importante. E questi ti saranno per sempre in debito di affetto e di riconoscenza, presidente Scalfaro.

da La Repubblica del 30 gennaio 2012

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“Il Galantuomo e il Cavaliere “, di Eugenio Scalfari

Non era un uomo delle istituzioni ma un uomo politico prestato alle istituzioni. In questo tratto della sua biografia Oscar Luigi Scalfaro somigliava più a Napolitano che a Ciampi.

Anche Napolitano infatti è stato per molti anni un uomo di partito, un dirigente politico, ma nella seconda parte della sua vita emerse una vocazione che fino ad allora era rimasta sopita e le istituzioni, sia a Roma sia a Bruxelles, diventarono per lui una condizione molto importante. Forse fu il suo modo di superare l´esperienza comunista senza tuttavia rinnegarla.
Scalfaro non aveva nulla da superare se non un episodio di intemperanza che per molti anni lo perseguitò: il preteso schiaffo che aveva dato ad una giovane signora incontrata in un ristorante e abbigliata in modo troppo audace, che aveva scandalizzato il cattolico magistrato (allora era quella la sua professione). Nel suo racconto non ci fu nessuno schiaffo ma un diverbio sì. Quando molti anni dopo ne parlammo insieme, lui ancora si rimproverava d´essere andato oltre la giusta misura.
La nostra amicizia cominciò in occasione d´un dibattito parlamentare sul tema del Concordato. Avvenne nei primi mesi del 1971, eravamo tutti e due deputati (ma lui da molto più tempo) e partecipammo a quel dibattito che la presidenza della Camera aveva indetto in vista d´una riforma dei Patti Lateranensi stipulati nel 1929 in epoca fascista. Scalfaro indicò nel suo intervento le linee della possibile riforma; seguirono altri discorsi e poi venne il mio turno. Alla fine del mio intervento ci fu un solo applauso: era lui, il cattolico per eccellenza, che applaudiva un discorso anticoncordatario. La mia tesi era infatti l´abolizione di quel trattato e la rigorosa applicazione del principio cavouriano della libera Chiesa in libero Stato.
Scalfaro s´era alzato dal suo seggio e veniva verso di me battendo ancora le mani. Gli andai incontro e mi spiegò che se avessi fatto un discorso anticlericale l´avrebbe aspramente criticato; avevo invece sostenuto che la Chiesa doveva esser libera di diffondere i suoi principi nello spazio pubblico che la democrazia riserva a tutti. «Lo Stato democratico è laico» mi disse «e può decidere di accordarsi con la Chiesa su alcune modalità di comune convenienza oppure distinguere nettamente le rispettive sfere di competenza garantendo la libertà religiosa. Oggi noi due abbiamo rappresentato con chiarezza queste alternative e questo è il compito del Parlamento».
Ho citato questo lontano episodio perché mi dette la misura del rapporto che un cattolico politicamente impegnato deve avere con la religione. Quando Scalfaro diventò presidente della Repubblica ebbe naturalmente rapporti frequenti con il Papa e furono cordiali e rispettosi da ambo le parti. Ma i suoi furono più rispettosi che cordiali perché tanto più viveva la sua intima religiosità tanto più sentiva di dover rappresentare anche nella forma e nel cerimoniale lo Stato laico del quale era il più alto rappresentante. L´ho sempre ammirato per questo.

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Il tratto saliente della sua biografia politica riguarda tuttavia il suo rapporto dialettico con Silvio Berlusconi. Scalfaro fu eletto al Quirinale nel 1992 e fu sostituito da Ciampi nel ‘99. Attraversò dunque tutta la stagione di «Mani pulite», il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica e il debutto politico di Berlusconi e di Forza Italia. Tenne a battesimo il suo primo governo che durò pochi mesi. Poi venne la rottura con la Lega, il governo Dini con caratteristiche istituzionali, infine il governo Prodi e il rilancio del centrosinistra. Il suo settennato arrivò al termine in coincidenza con il governo D´Alema.
Nei cinque anni di convivenza con il populismo berlusconiano rifulsero le capacità politiche di Scalfaro e insieme la piena consapevolezza dei limiti che la Costituzione poneva al suo ruolo. Rispettò quei limiti con estremo rigore ma con lo stesso rigore difese ed esercitò le sue prerogative. Quando Berlusconi dovette dimettersi perché sfiduciato dalla Lega, il partito di Forza Italia chiese lo scioglimento delle Camere. Scalfaro obiettò che non poteva richiamare alle urne gli italiani senza aver prima verificato se esistesse una soluzione alternativa. Ci fu un´accesa contestazione su questo punto ma il Quirinale non cedette. Fece tuttavia un gesto di cortesia e anche di saggezza politica: chiese a Berlusconi di designare lui il nome del suo successore, chiarendo al tempo stesso che si sarebbe trattato d´un governo istituzionale necessario per decantare la situazione e poi tornare a interpellare il popolo sovrano. Fu Berlusconi a indicare Dini che era stato fino ad allora il suo ministro del Tesoro. Dini accettò e formò un governo che non aveva una maggioranza precostituita ma aveva alle spalle il Quirinale e funzionò benissimo alimentando però un´antipatia non solo politica ma anche personale di Berlusconi nei confronti del presidente della Repubblica.
Va ricordato che Scalfaro si tenne sempre nei limiti delle sue prerogative e reagì alle contumelie che gli venivano scagliate contro solo quando esse divennero una vera e propria aggressione alla vita privata sua e della sua famiglia, tirando in ballo anche la magistratura.
Ricordo anche che fu lui, d´accordo con l´allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, a chiamare Ciampi e nominarlo capo del governo. Era il 1993; qualcosa di molto simile è avvenuto diciannove anni dopo quando nel novembre scorso Napolitano ha nominato Monti a Palazzo Chigi.
Infine un ultimo ricordo privato. Nel 1996, pochi mesi dopo le mie dimissioni dalla direzione di Repubblica, Scalfaro mi nominò Cavaliere di Gran Croce. Ci fu una piccola cerimonia nella Sala della Vetrata al Quirinale e io gli dissi scherzando che con quella onorificenza diventavano cugini poiché era quello il cerimoniale dei Cavalieri dell´Annunziata ai tempi della monarchia. Mi rispose: «Ma noi cugini lo siamo già. Ho fatto delle ricerche in proposito perché i miei genitori erano di origini calabresi. Scalfaro e Scalfari provengono da un unico ceppo. Siamo cugini in trentesimo grado». Ci abbracciammo ridendo e da allora la nostra amicizia è diventata ancora più stretta.
L´Italia saluterà oggi a Santa Maria in Trastevere uno dei grandi servitori dello Stato. Anch´io ci sarò a dolermi della sua scomparsa e ad onorare la sua memoria.

da La Repubblica del 30 gennaio 2012