partito democratico, politica italiana

«I media non sanno leggere il Pd. La realtà è che dà fastidio», di Chiara Geloni

Perché il Pd non piace ai giornali? Alfredo Reichlin ha posto ieri il tema con la solita brutale lucidità: sta diventando un problema di democrazia, non di giornalismo. Non si tratta di recriminare, ma di constatare: il contrasto tra la realtà del Pd e la narrazione mediatica sul Pd comincia a essere un fenomeno su cui è difficile soprassedere. Parliamo di quello che da diversi mesi è stabilmente il primo partito italiano. Che ha visto uscire dalla scena il suo principale e ormai storico avversario, e oggi fronteggia un centrodestra sbandato e in difficoltà. Che ha vinto le ultime tornate elettorali. Il cui elettorato mostra di capire la scelta difficile e responsabile di sostenere un governo di emergenza. Fin qui la realtà, poi c’è appunto la narrazione.

Un contrasto paradossalmente mai così lampante come nell’intervista a un direttore naturaliter democratico quale quello di Repubblica, qualche sera fa in tv, e per giunta in uno spazio altrettanto naturaliter democratico come il salotto di Fabio Fazio su Rai 3. Eppure, salvo una bella difesa della famosa “foto della birra” («Preferireste che i discorsi glieli scrivesse qualcun altro? Che si facesse fotografare circondato da nani e ballerine?»), peraltro stoppata sul nascere da Fazio con insolita determinazione (e su cui il sito Repubblica si era però prodotto in un commento di tono assai diverso), l’atteggiamento di Ezio Mauro verso il Pd è emblematico. Tutto un darsi di gomito, quello tra lui e il conduttore. Domanda: «Nel Pd naturalmente su questo ci sono posizioni diverse». Risposta: «L’impressione è che non sarebbero d’accordo neanche se gli chiedessimo se oggi è domenica». Nessuna indulgenza, nessuno sforzo di capire e far capire, nessun rispetto per un partito che ha già dimostrato molte volte che al momento di decidere sa come fare, e che i suoi organismi democratici funzionano: il Pd è diviso, sbandato e senza linea, ecco perché l’assemblea non ha votato l’odg sulle primarie; almeno questo devono aver capito i telespettatori. Niente viene concesso al Pd, nemmeno se i fatti gli danno ragione: se, per posizionare Repubblica sul governo Monti, Mauro usa quasi le stesse parole del segretario del Pd, «non sosteniamo un governo, noi sosteniamo l’Italia», guai comunque a citarlo o a riconoscergli di aver agito ragionando nello stesso modo: «La strada ce l’ha indicata Napolitano». Perché denigrare sempre il Pd non serve, a volte basta rimuoverlo.

Lo ha scritto bene ieri l’Unità: quello della «prima volta che si fanno le liberalizzazioni in Italia» è già diventato un classico della narrazione politica, roba da far rivoltare nell’archivio le prime pagine di Repubblica e Corriere nei giorni delle lenzuolate di Prodi e Bersani. Senza nulla togliere alle liberalizzazioni di Monti, non serve essere astiosi per dichiararsi stupefatti da certe dimenticanze o dietrologie come quelle che farebbero di Bersani il capo di un’improbabile lobby dei parafarmacisti (contrapposta a quei poveri descamisados dei farmacisti titolari, immaginiamo). E non mancano altre sorprendenti letture: «i partiti» che immancabilmente «frenano le riforme», col Pd sempre nello stesso mucchio del Pdl, anche quando tira esattamente nella direzione opposta. I critici televisivi in cattedra a spiegare che gli italiani non vogliono leader dalla comunicazione travolgente ma ai politici chiedono sobrietà e competenza, e sono gli stessi che sfottevano il Pd e il suo segretario fino a una settimana prima esattamente per il motivo opposto.

Senza polemica, davvero: c’è da interrogarsi su quanto effettivamente il sistema dei giornali e degli opinion maker sia tecnicamente in grado di «leggere» il Pd. Prendiamo la vicenda della foto della birra: uno scatto fatto per prendere in giro il segretario beccato in un momento “da sfigato”, pubblicato e commentato dai siti dei giornali con la stessa intenzione, che sui social network diventa in pochi minuti un’icona del politico normale, che finisce per suscitare un’ondata di entusiasmo e di affetto tra i militanti. E i manifesti «ti presento i miei», la famosa “campagna flop” per il tesseramento, iniziata tra frizzi e lazzi, anche perché inciampata in un episodio di affissioni abusive (solo a Roma)? Qualcuno si è accorto che è partita la gara a photoshopparsi nel manifesto, che c’è un’ondata di testimonial volontari che ci stanno mettendo la faccia senza che nessuno gliel’abbia chiesto? Quanto capiscono i media del Pd? Di com’è fatto, di come funziona, di cos’è il Pd?

Sarebbe interessante parlarne davvero, tra addetti ai lavori e magari non solo. Evitando banalità però, e risposte tautologiche del tipo: «È il Pd che non sa comunicare». I problemi di comunicazione non sono quasi mai problemi di comunicazione: in politica, sono problemi politici. Può darsi che in parte siano dentro il Pd: troppe voci, troppa fatica a decidere, troppo poca capacità “egemonica”? Forse. Eppure il dubbio che qualche problema ce l’abbia anche chi guarda il Pd cresce ogni giorno di più. Problema tecnico, di incapacità? Difficile che tutti i giornalisti siano stupidi, almeno quanto è difficile che tutti i comunicatori del Pd siano stupidi: è più probabile che il problema sia politico. Dà fastidio, il Pd? E perché? Forse perché è un partito, l’unico in Italia oggi che può definirsi tale, con regole democratiche sue proprie, con un dibattito interno che si svolge alla luce del sole e che non è puro scontro per il potere, con una sua solidità e una sua lettura delle cose oltre il day by day e le ondate emotivo mediatiche? E se è questo il problema, non sarebbe più onesto dichiararlo, e dire che si ha in mente una politica senza partiti e in balia delle ondate mediatiche, un’Italia senza corpi intermedi, una società di individui, senza politica e senza partecipazione, senza gente che ci mette la faccia e che si sente protagonista in un collettivo? Se la battaglia fosse dichiarata, e fosse su questo, sarebbe bello combatterla.

da www.unita.it

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