Lo studio della Fondazione Agnelli di cui Il Sole 24 Ore ha dato conto ieri è, come sempre, un contributo serio per l’Italia e non solo. Vorrei però fare qualche precisazione. Lo studio evidenzia una diminuzione delle immatricolazioni negli atenei italiani. È un fenomeno preoccupante ma sarebbe sbagliato imputarlo al Processo di Bologna.
La commissione cultura del Parlamento europeo ha approvato ieri la mia risoluzione per il rilancio del Processo di Bologna, ovvero lo spazio europeo dell’istruzione universitaria. Il voto favorevole, praticamente all’unanimità (due soli i contrari), è stato espresso dai parlamentari popolari, socialisti e democratici, verdi, liberali.
Lo spirito di questa scelta segna una svolta per il mondo universitario: rilancia infatti il processo di armonizzazione dei diversi sistemi e afferma che, insieme alla competenza dei singoli Stati, esiste anche una competenza in materia dell’Unione Europea. L’obiettivo principale è quello di far sì che le diverse università “nazionali” offrano titoli riconosciuti da tutti gli Stati d’Europa.
Naturalmente si tratta di un percorso che individua alcune misure da adottare per tagliare un traguardo così importante. Un traguardo che potrà assicurare ai laureati la spendibilità ovunque del titolo di studio, ovvero la concreta possibilità di poter lavorare in ogni parte d’Europa. C’è in questa scelta la consapevolezza che l’istruzione universitaria è leva della crescita e strumento per uscire dalla crisi che ci attanaglia. Ricordo che uno degli obiettivi cruciali della strategia di Europa 2020 è che il 40% della leva d’età arrivi alla laurea. L’Italia, purtroppo, è ampiamente al di sotto di tale percentuale.
Nella risoluzione approvata c’è anche l’elenco dei difetti e alcuni possibili rimedi, tanto attraverso prescrizioni di carattere generale quanto con incentivi ed azioni che sostengano gli sforzi delle università più virtuose. Esistono problemi per quel che riguarda le discipline umanistiche. Occorre, ad esempio, approfondire la definizione interna di laurea triennale e, parallelamente, la reale spendibilità di tale titolo nel lavoro.
Lo studio della Fondazione Agnelli di cui Il Sole 24 Ore ha dato conto ieri è, come sempre, un contributo serio per l’Italia e non solo. Vorrei però fare qualche precisazione. Lo studio evidenzia una diminuzione delle immatricolazioni negli atenei italiani. È un fenomeno preoccupante ma sarebbe sbagliato imputarlo al Processo di Bologna. Infatti i dati dello stesso studio registrano, nel periodo immediatamente precedente alla crisi economica, il calo dal 20 al 17% degli abbandoni nel corso del primo anno di università e dal 24 al 13% degli immatricolati inattivi. Oggi la diminuzione delle immatricolazioni è piuttosto l’allarmante conseguenza della crisi economica e della drammatica riduzione della capacità di spesa delle famiglie. Occorrono, ín questa fase, misure di sostegno per l’accesso all’università. Inquadriamo allora il problema e chiamiamolo con il suo nome: più fondi per il diritto allo studio. So che il ministro Profumo ha chiaro il problema.
Lo studio della Fondazione Agnelli mette in evidenza un confortante dato “sociale”: il 74,6% di chi arriva alla laurea triennale del Processo di Bologna ha genitori non laureati. Vorrei concludere affiancando allo studio della Fondazione Agnelli i dati forniti dalle recenti ricerche di Alma Laurea e Stella sempre sul mondo universitario. Emerge con chiarezza il fatto che i governi hanno lasciato a se stesso il Processo di Bologna, non lo hanno sostenuto né corretto come sarebbe stato necessario. Eppure, a un anno dal conseguimento del titolo, oltre il 40% dei laureati triennali e circa il 60% dei laureati specialistici trova una occupazione in un mercato del lavoro colpito dalla crisi economica e che, come è noto, penalizza (e molto) i più giovani.
Domani a Roma, su input del Consiglio universitario nazionale (Cun) e del Comitato per la divulgazione della cultura scientifica e tecnologica, si discuterà delle correzioni e del sostegno al Processo di Bologna. Un percorso irreversibile che allarga all’Europa l’orizzonte degli studi, della ricerca, della mobilità studentesca e del lavoro. Il Processo di Bologna, nonostante le criticità, restituisce alle università (anche agli atenei italiani) quello spirito universalistico che non può essere rinchiuso negli angusti confini nazionali.
da Il Sole 24 Ore, pubblicato il 25 gennaio 2012