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E i docenti difendono gli universitari: "Spesso devono lavorare", di Maria Novella De Luca

Pochi tutor e atenei sovraffollati ecco perché l´università dura di più
“In Italia c´è un docente ogni 800 ragazzi, contro l´uno a uno anglosassone”

Nelle loro università, spesso, hanno dovuto fronteggiare occupazioni e proteste, giornate dure, tensioni, assemblee, cortei. “Loro” infatti sono l´istituzione, l´ateneo, rappresentano il sistema, sono la controparte. Eppure questa volta rettori, docenti e studenti sembrano essere dalla stessa parte della “barricata”, singolarmente uniti nel respingere al mittente (cioè al sottosegretario al Welfare Michael Martone) quell´accusa di “sfigati” e fuoricorso lanciata agli universitari d´Italia. Perché i problemi degli atenei sono così grandi, e così grande è la crisi che riguarda il futuro dei giovani, che quella parola, “sfigati”, anche se molto “teen” suona davvero un po´ offensiva.
Spiega Massimo Maria Augello, rettore dell´università Pisa, 50mila studenti in una città di 90mila abitanti: «Il tema è sensibile, ma è davvero fuorviante trattarlo così, anche perché i laureati italiani, vorrei ricordarlo, non sono secondi a nessuno. È vero però che esiste una parte di ragazzi che all´università si perde, rallenta, abbandona. E infatti noi abbiamo da poco distribuito 50mila questionari a tutti i nostri studenti, proprio per indagare le cause di questa dispersione. Ma credo che alcune risposte le abbiamo già: dalla mancanza della figura del tutor all´assenza di una guida nella scelta delle facoltà. E non dimentichiamo che in Italia c´è un numero crescente di universitari lavoratori, perché le famiglie non riescono più a mantenerli agli studi». Chi oggi arranca, perde tempo, ha infatti un profilo assai diverso dal “fuoricorso” degli anni Settanta e Ottanta, pur restando accomunato, questo dicono le statistiche, dalla provenienza, spesso, da famiglie con reddito basso.
Ma i dati dicono anche che dopo la famosa “riforma Berlinguer”, che istituì in Italia la laurea triennale, seguita, facoltativamente da altri due anni di specialistica, il numero globale dei laureati è sensibilmente cresciuto, e quelli in corso sono passati dall´11,1% del 2000 al 39,1% del 2009. Anche se nessuno, certo, ignora la distanza, che ancora ci separa, nel numero dei laureati, da paesi come la Germania, l´Inghilterra, gli Stati Uniti.
«Non me la prenderei con gli studenti, ma con le strutture che ingenerano questi risultati», afferma infatti Marco Mancini, presidente della Conferenza dei rettori universitari italiani. «Perché se uno studente va male è colpa dello studente, se due studenti vanno male è colpa degli studenti, ma se tre vanno male c´è qualcosa che non funziona nel sistema universitario». E quel qualcosa, racconta Paolo Ferri, docente di Tecnologie e Nuovi Media all´università Bicocca di Milano, è molto legato, oggi, a quanto succede in Italia. A quella mancanza di prospettive e di futuro, come suggerisce anche il rettore dell´università di Pisa Augello, «che i ragazzi percepiscono ovunque, e che ha portato alla crisi di identità di un´intera generazione». «Chi parla di giovani “sfigati” – suggerisce Paolo Ferri – forse non sa che un´enorme numero di giovani universitari oggi lavora. Sono loro l´esercito dei parasubordinati, per pagarsi una stanza a 500 euro al mese in città dove non esistono residenze universitarie fanno di tutto, commessi, camerieri, mi è capitato più volte di incontrare miei studenti dietro la cassa del supermercato». Ma anche secondo Ferri, una grossa responsabilità dietro gli abbandoni di tanti studenti ce l´ha il sistema universitario. «Tra i prof e i ragazzi c´è spesso una distanza siderale, basti pensare che in Italia il rapporto è di un docente ogni 800 studenti, contro l´uno a uno delle università anglosassoni. E i docenti italiani – ammette Ferri – lavorano davvero poco, soltanto 350 ore l´anno…Nonostante questo il numero dei laureati in corso aumenta, alla Bicocca siamo oltre il 60%».
Ricorda infatti l´ex ministro dell´Istruzione Luigi Berlinguer, che varò appunto alla fine degli anni Novanta la riforma del 3 più 2: «Da allora sono diminuiti i fuoricorso e gli abbandoni ed è enormemente cresciuto il numero dei laureati, che oggi sono in Italia il 20% tra i giovani dai 25 ai 34 anni, contro il 26% della Germania, il 41% degli Stati Uniti, e il 45% del Regno Unito. Ma queste differenze dimostrano che l´Italia ha bisogno ancora di un gran numero di laureati…Eppure il sostegno a chi non ha mezzi per studiare è bassissimo, il rapporto con l´università resta per la maggior parte degli studenti molto lontano, è evidente che c´è bisogno di cambiare l´impianto didattico. E spero che il ministro Profumo, che stimo, possa agire in questo senso». Ma il percorso continua, dice ancora Berlinguer, ripartendo proprio da quel “processo di Bologna” che doveva istituire, entro il 2010, uno Spazio Europeo dell´Istruzione Superiore. «E proprio ieri la commissione Cultura del Parlamento Europeo di cui faccio parte – aggiunge Berlinguer – ha votato all´unanimità un provvedimento che rilancia, appunto, il processo di Bologna».

da la Repubblica

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“L´amaca”, di MICHELE SERRA

Anteporre una buona scuola professionale a una mediocre e tardiva laurea, come ha fatto il viceministro Martone, significa affrontare un tabù. Nella tradizione classista del nostro Paese, le scuole professionali e i lavori manuali sono considerati da sempre lo sbocco naturale dei figli dei poveri; la laurea, il dovuto approdo dei figli dei ricchi. E dunque, quel politico che faccia l´elogio delle scuole professionali rischia di passare per un reazionario che non vuole aprire a tutti le porte dell´università.
Ma io credo che Martone alludesse a un´altra verità, tutt´altro che reazionaria: tra un “dottore” dequalificato e mal pagato e un artigiano che sa il fatto suo, chi se la passa meglio? La destrezza manuale è, tra l´altro, cultura essa stessa, specie in un Paese di artigiani e tecnici sopraffini quale siamo da qualche secolo. Il disprezzo per il lavoro manuale in quanto tale, e per scuole professionali a volte ben più brillanti e funzionali di certi deprimenti atenei, è uno dei veri grandi problemi dei nostri figli. Convinti, anche per colpa nostra, che un dottorato a prescindere valga un´autorevolezza sociale che solo il lavoro (anche manuale) è invece in grado di dare. Una società di piccolo-borghesi frustrati non è affatto migliore di una società di artigiani e operai realizzati.

da La Repubblica del 25 gennaio 2012

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