Quale impatto hanno o avranno le violente proteste di questi giorni sul quadro politico? Parlare di «rivolta» dei Tir non è solo un modo di dire giornalistico. Quanto è accaduto sino a ieri, è andato ben oltre le dimensioni di una protesta sociale, già ai limiti della legalità.
Siamo stati posti davanti non soltanto alla contestazione di misure prese dal governo, ma al confuso, virtuale rifiuto della sua autorità politica. Questi due aggettivi – «confuso», «virtuale» sono la chiave di lettura di quello che è successo e che condiziona le modalità con cui la situazione si sta normalizzando. Speriamo che avvenga presto – altrimenti le conseguenze saranno incontrollabili.
Siamo davanti ad una severa prova per il governo Monti, probabilmente inattesa. È perfettamente inutile aggiungere che si tratta di una prova «politica». Ma aggiungiamo pure l’aggettivo, se serve a chiudere una volta per tutte l’inconsistente diatriba sulla natura «tecnica» del governo in carica, su cui si sono esercitati sin qui politici e pubblicisti.
La rivolta di minoranze di cittadini, organizzati in categorie professionali dotate di uno sproporzionato potenziale di danno e di intimidazione, è virtualmente politica perché è il contrario dell’affidamento che la maggioranza degli italiani mostra verso il governo Monti. Da un lato c’è un sofferto riconoscimento di autorevolezza politica, dall’altro la sua negazione.
Con il passare delle settimane è evidente che la vera base del consenso del governo consiste nella paziente fiducia dei cittadini che arrivino risultati tangibili. Di fronte a questo fatto la legittimazione politica formale offerta dai partiti rischia di rimanere una sorta di sovrastruttura parlamentare, debole e condizionata da mille reticenze.
In questo contesto la rivolta strisciante di alcune categorie imbarazza alcuni partiti, rivelandone aspetti oscuri. Non è un mistero che nel Pdl e nella Lega ci sono falchi che nelle agitazioni di questi giorni (e nelle prossime in calendario) hanno visto l’opportunità di quella spallata contro il governo che il partito berlusconiano ufficiale non osa dare. Per loro è stata una grande soddisfazione sentir gridare – in perfetto stile berlusconiano – che a Roma c’è «l’ultimo governo comunista del mondo». Non sappiamo se dietro a queste provocazioni – a cominciare dalla Sicilia – ci siano disegni più mirati.
Nel complesso però i politici di destra si barcamenano tra la denuncia della violenza e della illegalità dei comportamenti, il premuroso riconoscimento della legittimità di alcune richieste di alcune parti coinvolte (senza spingersi troppo avanti nei dettagli) e la voglia di approfittare del clima di scontentezza per farsi protagonisti di correzioni delle proposte governative.
Quello che non capiscono è che con il governo Monti è venuta meno o quantomeno si è drasticamente ridimensionata la funzione dei partiti di rappresentanti diretti di interessi particolari (non illegittimi, beninteso, ma gestiti in forma quasi sovrana) che hanno portato alla creazione di quel universo di lobbies, corporazioni e categorie di fatto privilegiate – di cui oggi si parla tanto apertamente quanto retoricamente.
«Lobbies» e «corporazioni» infatti sono sempre quelle degli altri. Mentre da parte loro i partiti si sentono offesi se vengono riduttivamente considerati rappresentanti o protettori di interessi di parte, insensibili all’interesse comune. La dialettica democratica – ripetono – consiste nel contemperare gli interessi particolari con quelli generali ecc ecc. Conosciamo questi nobili discorsi edificanti. Ma servono poco a capire la brutale realtà di quello che è accaduto e che potrebbe ripetersi nei prossimi giorni su altri fronti non meno sensibili.
Torniamo alla vicenda dei Tir. Il governo è sembrato inizialmente preso in contropiede, ha sottovalutato la gravità della situazione. Soltanto nelle ultime ore si è sentita chiara la voce del ministro degli Interni che ha rivendicato di avere affrontato i disagi della protesta «coniugando fermezza e dialogo», consentendo di «stemperare le situazioni di tensione e di far sì che la gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica non subisse, nel complesso, grave pregiudizio». Segue la minaccia di energiche misure coercitive nel caso si verificassero nuovi episodi che compromettono la sicurezza delle persone. Tutto sommato quella del ministro può apparire una reazione sin troppo «temperata» di fronte ai gravissimi disagi imposti alla popolazione e al Paese stesso. Eppure mi chiedo se paradossalmente proprio questo atteggiamento non abbia avuto l’effetto benefico di mostrare alla grande opinione pubblica l’insensatezza della rivolta contro il governo. La grande discriminante politica passa ormai tra chi, disposto a pagare di persona, si affida – sia pure con un tocco di rassegnazione – alla competenza di questo governo, dialogando e interagendo costruttivamente. E chi lo considera nemico, punto e basta.
da La Stampa del 25 gennaio 2012