memoria

"I disegni della memoria", a cura di Andrea Tarquini e Miguel Gotor

Sono rimasti nascosti in una bottiglia per oltre sessanta anni. Adesso 32 disegni realizzati da un internato anonimo tornano alla luce, documentando la tragica realtà della fabbrica della morte del campo di concentramento Sono pagine straordinarie, tramandate come un reportage perché il mondo non dimentichi.
L´autore misterioso si firmava “MM”: si preoccupò di conservare i suoi bozzetti tra le fondamenta di una baracca
Sono le immagini dell´orrore che raccontano la separazione tra gli adulti e i bimbi, la prima selezione all´arrivo dei treni
Il documento ora è nel museo del campo di concentramento e sul web, a disposizione di tutti.

“Auschwitz. Il fumetto del lager”, di Andrea Tarquini

Restarono per oltre sessant´anni nascosti in una bottiglia, come l´ultimo appello d´aiuto d´un naufrago, quei disegni che oggi tornano alla luce e ci documentano l´Olocausto in modo drammatico e straordinario. Trentadue schizzi, Auschwitz tramandato come in un reportage, quasi col genio giornalistico che ebbe al fronte in Spagna, e poi con gli Alleati, Robert Capa, l´ebreo ungherese, esule, inventore del fotogiornalismo, ma tutto tramandato solo con una matita, senza fotocamere Leica o Zeiss con cui scattare istantanee. Trentadue disegni, eccoli qui davanti ai nostri occhi di pronipoti smemorati dell´orrore. Sono stati trovati dai curatori del Museo di Auschwitz, l´istituzione internazionale che cura la memoria là a Auschwitz-Birkenau.
Era la fabbrica della morte costruita dalla Germania per ordine di Hitler nella Polonia che il Reich occupò e sognò di cancellare dal mondo. Un documento eccezionale, narra della Shoah fin nei minimi dettagli. Ci tacciono un solo particolare: chi fu mai il coraggioso che al rischio di essere eliminato nei modi più dolorosi e orrendi prese carta e matita per schizzare quelle immagini e lasciarle a noi posteri, sui semplici fogli d´un quaderno da disegno tenuti insieme da una spirale da cui uno a uno i disegni venivano strappati.
The sketchbook from Auschwitz, il libro degli schizzi di Auschwitz, si chiama questo documento eccezionale che ora il museo ha editato. Lo puoi comprare online oppure ordinandolo per telefono o per posta, basta rivolgerti al Memorial Museum Auschwitz-Birkenau (www. en. auschwitz. org). Riaprire gli occhi costa anche poco: 32 zloty, cioè circa 8 euro, è il prezzo del pamphlet curato da Agnieszka Sieradzka. Vale la pena, e ieri Spiegel online (www. spiegel. de) ha diffuso dieci delle trentadue immagini. Scorriamo i disegni dell´ignoto reporter-artista di Auschwitz, e il loro racconto. Affermare che facciano rabbrividire è poco. Nella prima vedi una folla enorme scendere dal treno merci piombato alla “Judenrampe”, la rampa di scarico degli ebrei, quella dove finiva il binario davanti all´ingresso di Auschwitz 2-Birkenau. Quasi senti la locomotiva nazista “tipo 52” sbuffare dopo l´arrivo. Vedevano già la sinistra scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Soldati delle SS, il fucile Mauser 9 o il mitra MP 38 in pugno, li spingono nella fabbrica della morte.
Sono ancora ben vestiti, dignitosi da crema della borghesia europea, gli ebrei portati là a morire nei modi più orrendi. Vedi donne in cappotti o vestiti decorosi. Un signore anziano sfoggia baffi ben curati, cappello e giacca da sartorie di qualità. Ancor più elegante è un uomo sulla quarantina, abito impeccabile, fazzolettino elegante sulla tasca della giacca, cappello da passeggio e trenchcoat al braccio. Suo figlio, un bel bimbo sui quattro o sei anni vestito alla marinara, lo tiene per mano. In un disegno successivo, il numero due ben numerato come tutti prima di venir nascosto nella bottiglia della memoria dal disegnatore-cronista sconosciuto, l´idillio apparente finisce. Arrivano le SS, strappano a forza il bimbo dalle braccia del padre. Invano il bimbo urla e piange, il disegno lo rende a perfezione. Le SS lo portano via, insieme a quel signore anziano dai baffi ben curati. È la prima selezione: vecchi, malati e bambini, inutili, perché incapaci di lavorare come forzati in condizioni disumane per la macchina bellica del Reich, vengono portati subito alle “docce”, i locali sigillati dai cui sfoghi sul tetto non si diffondeva acqua, bensì il Zyklone-B, il gas letale prodotto dalla modernissima azienda modello IG Farben gloria della Germania. Nel disegno, il camion per portarli via verso l´ultimo destino è già pronto, l´autocarro d´ordinanza Opel Blitz della Wehrmacht (copia nazista del Dodge americano), sembra avere anche il motore già acceso.
Il racconto dell´orrore prosegue, una pagina schizzata dopo l´altra. Ma chi fu mai il deportato che ricordò il talento ed ebbe il coraggio di narrare tutto con i suoi disegni? Non lo sappiamo, forse non lo sapremo mai, dice Jarek Mensfelt, portavoce del Museo di Auschwitz. Il disegnatore misterioso lasciò solo una fragile traccia, un abbozzo di firma: “MM”, scritto su ognuno dei disegni. Le iniziali, forse, ma vai a cercare tra i sei milioni e passa di vittime della Shoah. Il deportato “MM” non dedicò mai disegni a se stesso. Si preoccupò soltanto di nasconderli tutti insieme ben ordinati in una bottiglia, e di sotterrarla tra le fondamenta di una baracca del Lager. Forse nella sua genialità vitale e disperata ebbe un attimo di tempo per scegliere con cura il luogo del nascondiglio: la bottiglia era sotterrata proprio presso una baracca che sorgeva tra le camere a gas e i forni crematori numero 4 e numero 5. Fu scoperta per caso, nel 1947, da un altro ex deportato, Jozef Odi, che dopo la liberazione la consegnò ai custodi del museo. Odi continuò a lavorare per loro fino alla morte, adesso – tra i milioni di oggetti trovati nel territorio dell´orrore, là ad Auschwitz, o tra tutto quanto i nazisti sequestravano a chi scendeva dai treni – la bottiglia della memoria è stata riscoperta.
Il racconto continua, un disegno dopo l´altro. Vedi le SS caricare i più deboli, già magri oltre lo scheletrico, sui camion speciali dello “Haeftlingskrankenbau”, il servizio medico per i deportati: chi non serviva più per produrre veniva finito con un´iniezione letale al cuore. Scorriamo ancora l´almanacco di Auschwitz: ecco chi ha tentato la fuga, e viene impiccato alla meglio con una corda appesa al tetto d´una baracca: efficienza, produttività, taglio ai costi erano il credo della fabbrica della morte. Oppure ecco immortalati i sadici e ben nutriti Kapò che con lo stivale spaccano l´osso del collo ai detenuti. O ancora il crematorio e le camere a gas, con fuori ufficiali SS che si godono la pausa d´una sigaretta mentre i loro sottoposti gettano salme sul pianale di carico di un camion, come fossero sacchi di patate. Fino a dettagli orridi del quotidiano: il timbro a fuoco del numero e del triangolo o di altri simboli sull´avambraccio.
Il documento è adesso online in tutto il mondo, perché ricordi. Mentre in una triste coincidenza uno studio ufficiale reso pubblico ieri dal vicepresidente del Bundestag (il Parlamento tedesco) informa che anche in Germania, tanti decenni dopo, l´antisemitismo «è enormemente diffuso in vasti strati della società, attraverso i ceti e nel cuore della società», non solo nelle violente, marginali frange neonaziste. L´albo dei disegni di Auschwitz chiama a ricordare vigili, come un altro reperto del museo dell´ex Lager, quelle poche righe scritte e sotterrate vicino alla baracca della bottiglia dal deportato ebreo polacco Salmen Gradowski: «Caro scopritore futuro di queste righe, ti prego, cerca dappertutto, in ogni centimetro di terreno qui dove noi fummo. Qui troverai tanti documenti, ti diranno quanto è accaduto qui, tramanda tracce di noi milioni di morti al mondo che verrà dopo».

da la Repubblica 24.1.12

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“Quello spazio di libertà nell’orrore quotidiano”, di Miguel Gotor

L´autore è ignoto, sappiamo solo che si firmava «MM». La mano è ferma e il tratto sicuro, attento a cogliere ogni dettaglio e a registrarlo sulla carta ruvida di un taccuino. Lo immaginiamo intento a disegnare nella penombra, nelle ore di riposo tra un turno e l´altro, con il capo chino e la schiena curva, il blocchetto di fogli poggiato sulle ginocchia irrigidite, il mozzicone di matita stretto tra le mani nere e incallite dalla fatica. I suoi schizzi furono ritrovati nel 1947 dentro una bottiglia, occultati nelle fondamenta di una baracca del campo di sterminio polacco di Birkenau, non lontano dai forni crematori IV e V. Il fatto che l´ultimo disegno sia incompleto lascia pensare che quello poteva essere un nascondiglio quotidiano, un anfratto tra i tavolacci di legno, per sfuggire alla sorveglianza dei Kapò.
E riprendere di volta in volta il lavoro, a ogni occasione possibile. Fino all´ultima volta, subito prima di un improvviso trasferimento o, assai più probabilmente, della morte.
Si tratta di un documento eccezionale in cui ogni segno rivela l´ardimento del disegnatore, in grado di infrangere, a rischio della propria vita, il divieto dei suoi custodi. Si scrive per ricordare, si scrive per resistere, si scrive per lasciare una traccia. E si disegna per le stesse ragioni, per sfidare la morte che ti bracca e riempire il tempo che separa da lei, per conservare uno spazio di intangibile libertà anche dentro il terrore, per aggirare il progetto totalitario dei nazisti, quello che angosciò e motivò Primo Levi al racconto: «tanto non vi crederanno». Per vincere l´oblio, la condanna peggiore, quella che rende la tua creaturale sofferenza senza comunicazione e senza testimonianza.
Non è la prima volta che dei disegni sopravvivono all´universo concentrazionario nazista e ce ne raccontano il raccapriccio. Sono celebri, ad esempio, quelli dei bambini rinchiusi nel campo di concentramento cecoslovacco di Terezin, i quali, sotto la direzione di un adulto, ingannavano il tempo che li separava dai forni crematori raffigurando scene della loro infanzia perduta o immagini della prigionia.
La peculiarità dei disegni di Birkenau è che sono certamente l´opera clandestina di un adulto. Sembrano fotografie in bianco e nero con un chiarissimo intento documentario: non c´è il lusso dell´astrazione, ma la necessità di un realismo estremo e angoscioso che raffiguri e informi. L´autore usa una matita e soltanto in alcuni casi aggiunge dei tocchi di colore: per evidenziare di rosso i tetti delle baracche e i mattoni delle costruzioni, per distinguere le fiamme dei forni crematori, per far risaltare la divisa scura di una SS o quella a righe blu di un Kapò.
In alcuni casi un unico foglio è diviso in due riquadri dallo stesso autore per distinguere scene diverse come se fosse un cartone animato dell´orrore. Evidentemente, la carta a disposizione non era molta, ma la voglia di raccontare tanta: l´esperienza della «rampa degli ebrei», ossia il capolinea dove i deportati arrivano in massa per essere subito divisi in sommersi e salvati, i vecchi e i bambini da una parte, gli uomini e le donne abili al lavoro dall´altra; la «casa della morte», ove si raffigurano i cadaveri trasferiti al forno crematorio, mentre una SS, in primo piano, inganna il tempo fumando una sigaretta; la condanna reiterata del comportamento dei Kapò e la brutale dimostrazione del loro dominio. Uno di questi è colto nell´atto di gettare in una pozzanghera un prigioniero e, in un altro riquadro, si vede ricompensato con del cibo speciale, mentre sullo sfondo i detenuti sono in fila per ritirare la zuppa di sempre. E ancora: il momento della selezione che separava i sani dai malati, una scena di tortura in cui un ebreo è legato attorno un palo e frustato sotto lo sguardo vigile delle SS; il vagone piombato, i prigionieri scheletrici avviati ai forni.
Non è solo la coincidenza topografica, ossia la contiguità del campo di Birkenau a quello di Auschwitz che fa pensare a Se questo è un uomo di Primo Levi. Le immagini sembrano le ideali quanto pertinenti illustrazioni di quel libro, e in una prossima edizione andrebbero pubblicate insieme perché riproducono una serie di scene e di momenti della vita quotidiana nei campi di sterminio che abbiamo già potuto leggere nelle pagine dello scrittore torinese.
Questi disegni sono riusciti a oltrepassare il filo spinato da cui hanno avuto origine per giungere misteriosamente sino a noi e sono la testimonianza di una vittoria della vita sulla morte, dell´ingegno umano sull´abisso delle coscienze, pezzi di carta, fragili e ingialliti dal tempo, che hanno saputo sopravvivere alle fiamme dell´inferno dei viventi.

da Repubblica 24.1.12

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