Nonostante gli sforzi di quel gran- de attore che è (stato) Umberto Bossi, la “pace di Milano” evocata dal palco di piazza Duomo finisce in un flop. Bossi, unico dei big al microfono (tranne i governatori Cota e Zaia), si affanna per mezz’ora a dire che «è stato facile riunirci, tutti hanno fatto un passo indietro, abbiamo messo da parte ogni discussione».
Ma basta che nomini per un istante i nomi di Reguzzoni e Rosi Mauro, i suoi due fedelissimi nel mirino dei Bobo boys, che la piazza si scatena in una selva di fischi. Esattamente come quando cita «il buon Berlusconi». «Buu», pollice verso. Fischi che si mischiano ai cori «Maroni, Maroni», con l’ex ministro dell’In- terno, in piedi sul palco insieme a tutta la nomenclatura, che alterna inchini e sorrisi, si frega le mani, e poi indica l’Umberto e scandisce «Bossi, Bossi», come la Mauro al suo fianco, che fuma nervosamente e non sa dove guardare. C’era una volta il Senatur che guidava il Carroccio come un Re Sole. Ora quel partito sono diventati due, e piazza Duomo lo testimonia con mille immagini: come gli adesivi e le sciarpe dei «Barbari sognanti» che i maroniani indossa- no fieri come un segno d’identità. Egli striscioni che trasudano sfiducia verso i pretoriani del Capo e il Cavaliere. Come quello con la foto dell’Umberto con la Mauro «Cerchio tragico, salviamo il soldato Bossi». Oppure l’altro: «Padania li- bera da tutti i Cosentino e da quelli che l’hanno salvato». E ancora, i tanti riferimenti polemici agli inve- stimenti africani del partito: «Bos- si e Maroni in Padania, 4 coglioni in Tanzania».
Malessere diffuso. Che esplode a fine comizio, quando Bossi insiste con la pacificazione «basta storie, siamo fratelli», e chiama i rivali a darsi la mano. Reguzzoni si avvicina al Bobo, con la faccia dello scolaro punito ma desideroso di compiacere il maestro, quello lo schiva, e lui si consola abbracciando Calderoli, stretto in una improba- bile tuta da sci con i simboli padani. La folla invoca Maroni, che però non può parlare, Bossi si consola con un«Roma Fanculo» e alla fine la regia è costretta a far partire il Va’ pensiero per evitare guai peggiori. «Non sono stato io a decidere di non farti parlare», confida poi il Senatur a Bobo, che su Facebook sfoga il suo «dispiacere». Il Cavaliere è uno dei nodi che più dividono. Bossi lo cita per mandar- gli uno dei suoi avvertimenti, ma la piazza non vuol più neppure sentire il nome e si scatena nei cori «Berlusconi vaffa…». «Silvio, se non fai cadere questo governo infame faccia- mo saltare il governo della Lombardia, dove ne arrestano uno al giorno», insiste il Senatùr. Una minaccia che fa il paio con i proclami belli- cosi sulle prossime amministrative: «Abbiamo la forza per andare da so- li». Sotto il palco il sindaco di Verona Flavio Tosi, maroniano di ferro, sorride: «E’ dal 2002 che dico di andare da soli, è nel nostro dna». Nel pomeriggio tocca al consiglio federale, l’organismo dove discutere a porte chiuse delle questioni più spinose. Maroni vince anche questo round: congressi regionali entro giugno, la decisione è ufficiale. Quello federale no, la poltrona di Bossi non si tocca. Per la segreteria lombarda è pronta la candidatura del maroniano Salvini, che potrebbe sfidare un uomo del Cerchio. Stefano Stefani è il più duro nello strapazzare il tesoriere Belsito sugli investimenti esteri. Quello si difende: «I soldi non so- no in Tanzania, sono solo transitati da lì per via del fondo a cui li abbia- mo affidati». I maroniani insistono, lo stesso ex ministro dell’Interno chiede il bilancio preventivo per il 2012. Belsito è in difficoltà, si decide che il comitato amministrativo dovrà fare nuovi accertamenti sui fondi e poi riferire entro febbraio. «In tre giorni abbiamo ottenuto la testa di Reguzzoni e i congressi a giugno,non è poco», sorridono i maroniani. Bossi è apparso nervoso e preoccupato. Dopo Pontida e Varese, è la terza volta in pochi mesi che una platea leghista si rivolta al suo carisma. E non è un caso che l’ap- plauso più forte se lo sia preso quan- do ha detto «Io non avrei mai preso nessun provvedimento contro Maroni, tra noi ci sono vecchie storie che restano nell’anima…». Vecchie storie, il futuro invece è nebuloso, nonostante il sole che splende su Milano. E passa dal rap- porto col Pdl. Che prende malissimo la minaccia leghista sulla Lombardia. «Non accettiamo diktat, tra qualche mese valuteremo l’operato di Monti», dice Cicchitto. E Formigoni avverte:«Nonè interesse di nessuno innescare una reazione a catena che metterebbe a rischio tante amministrazioni del Nord…». Un concetto che il governatore veneto Zaia ha ben chiaro. E ai big leghisti lo ha detto: «Bisogna stare attenti a non esporre a rischi anche le nostre giunte…».
Da L’Unità