È come la storia della volpe e dell´uva. Berlusconi s´era affrettato a profetizzare che un´eventuale asta sulle nuove frequenze tv sarebbe andata deserta. E ora la sua azienda scopre invece che la sospensione del regalo di Stato ai signori dell´etere configurerebbe un´illegalità, invocando perciò a gran voce la “certezza del diritto”. Di fronte all´annuncio del ministro Passera, è del tutto logico e naturale che Mediaset reagisca con questa determinazione e violenza. Non solo perché, insieme alla Rai, il Biscione sarebbe stato il maggior beneficiario del cosiddetto “beauty contest” (concorso di bellezza) che l´ex maggioranza di centrodestra aveva generosamente elargito ai soggetti dominanti del mercato televisivo. Ma anche per il fatto che in questa situazione il partito-azienda dovrebbe votare in Parlamento a favore di un provvedimento contrario agli interessi del suo padre-padrone.
A quanto finora è stato comunicato ufficialmente, non si tratta neppure di una revoca o di un´interruzione della procedura, come pure sarebbe stato lecito attendersi dal “governo di impegno nazionale”. Bensì soltanto di una sospensione provvisoria, con un termine già fissato di tre mesi. E probabilmente proprio per questo Mediaset prova a fare la voce ancora più grossa, nel tentativo di subornare il Pdl e di condizionare quindi l´esecutivo.
Tanto doveva andare “deserta” l´asta, dunque, che adesso l´esercito berlusconiano minaccia di riarmarsi per scendere in campo e occupare il terreno “manu militari”. Mai come in questa occasione, però, a scoppiare è il vecchio conflitto di interessi fra il tyccon televisivo e il leader politico. La contraddizione di un capo partito che antepone gli affari privati agli impegni o ai doveri pubblici arriva così al suo culmine.
Mentre il governo chiede ai cittadini ogni genere di sacrifici, dalle tasse alle pensioni, dalla casa alla benzina e via di seguito, l´unico che non vuole, non può e non deve sacrificarsi è proprio lui: l´ex premier che ha portato il Paese sull´orlo del fallimento e della bancarotta, nascondendo la crisi economica sotto il tappeto come la spazzatura, compromettendo la credibilità e l´immagine internazionale dell´Italia. E pensare che per la sua azienda sarebbe un mini-sacrificio, una piccola penitenza, quasi un fioretto: a maggior ragione se l´asta fallisse, secondo il vaticinio berlusconiano.
Fa specie che proprio il partito delle leggi “ad personam”, dei lodi e controlodi, oggi riscopra all´improvviso il fascino impellente della legalità, in funzione degli interessi di bottega. La verità è che – come qui abbiamo cominciato a scrivere dalla fine dell´agosto scorso, in tempi certamente non sospetti – la procedura del “beauty contest”, ammesso e non concesso che all´origine fosse legittima, non è più praticabile nel pieno di un´emergenza economica e sociale come quella che stiamo vivendo. Lo Stato deve stringere la cinghia, aumentare le tasse, ridurre le spese, tagliare i servizi ai cittadini, vendere semmai le sue partecipazioni e il suo patrimonio immobiliare; ma non può contemporaneamente regalare pezzi di un bene pubblico come l´etere agli stessi soggetti che l´hanno abbondantemente sfruttato a proprio vantaggio, pagando per anni canoni irrisori.
Su queste stesse pagine, l´avvocato Gianluigi Pellegrino aveva già richiamato opportunamente il principio di autotutela che impone – non consente – allo Stato di correggere o modificare procedure amministrative in corso, com´è appunto questa, per tutelare l´interesse collettivo e cedere o concedere in uso un cespite pubblico alle migliori condizioni. E qui – vale la pena ricordarlo ancora una volta – non si tratta di vendere alcunché, bensì di affidare in gestione, di “affittare”, le nuove frequenze per un certo numero di anni. Al colmo del paradosso, invece, il “beauty contest” prevede addirittura la possibilità per gli “incumbent” di rivenderle a terzi dopo un periodo di cinque anni.
Dal 25 maggio 2011, inoltre, come ricordano autorevolmente i professori Carlo Cambini e Antonio Sassano, due fra i maggiori esperti italiani della materia, è in vigore in Europa (e dovrebbe essere già in vigore anche nel nostro Paese) il nuovo regolamento per le comunicazioni elettroniche, approvato dalla Commissione europea nel 2009. Una normativa che disciplina la gestione dello spettro elettromagnetico, definito testualmente una “risorsa pubblica di alto valore economico e sociale” che gli operatori di rete potranno utilizzare in modo flessibile e “senza restrizioni sul servizio offerto o sulla tecnologia”. Per l´Europa, dunque, non esistono più frequenze televisive e frequenze riservate alle telecomunicazioni: ciò significa che una frequenza attualmente utilizzata per la tv potrebbe essere destinata alla banda larga mobile e viceversa. E la possibilità di aprire l´asta anche ad altri operatori può accrescere evidentemente il valore del bene in questione.
L´unica “certezza del diritto” da ripristinare, quindi, attiene alle direttive europee e all´interesse generale dello Stato. Rai e Mediaset possono continuare tranquillamente a fare televisione, a raccogliere audience e pubblicità, senza intaccare ulteriormente il patrimonio pubblico. Nella storia oscura della tv italiana, la legalità è stata già infranta troppo spesso per essere violata ancora una volta.
da La Repubblica del 21 gennaio 2012