Per una coincidenza quasi simbolica, mentre il Pd riunisce la prima assemblea nazionale del 2012, nella Lega si parla di celebrare il primo congresso dopo dieci anni di gestione oligarchica. In parecchi di noi abbiamo guardato, forse con una punta di invidia, la compattezza apparentemente inscalfibile del Carroccio, che dal vertice dei parlamentari all’ultimo dei militanti, recepiva e trasmetteva la linea e le parole d’ordine. E i giornali, intanto, ci stavano a informare a giorni alterni che “il Pd si spacca”. Ci eravamo abituati a considerare la leadership di Berlusconi un elemento immutabile della politica italiana, al pari degli acquedotti nella campagna romana. E al Pd arrivavano le accuse, a scelta, di essere subalterno o di prestarsi agli inciuci.
Il tempo ci ha dato ragione. Perché dopo questo lungo purgatorio, siamo riusciti a favorire l’aggregazione di un numero di parlamentari sufficiente a indurre Berlusconi a lasciare Palazzo Chigi poche ore prima che il Paese precipitasse nel fallimento. Abbiamo fatto nostro il senso dell’appello del Capo dello Stato e siamo stati pronti a sostenere il Governo di emergenza quando ancora il Pdl si travagliava, e mentre la Lega e l’Idv sceglievano l’opposizione. In una manovra difficile e dura abbiamo introdotto correttivi di equità e ci siamo impegnati a migliorare gli altri provvedimenti necessari a far ripartire il nostro Paese. Questa è la condotta di un partito che può avere l’ambizione di governare l’Italia, anzi che lo sta già facendo. Perché a questo punto il Pd è un partito che a tutti gli effetti partecipa alle scelte di governo e se ne assume la responsabilità votando in Parlamento. Di tutto ciò non dovremmo avere nessun timore o timidezza ma anzi dovremmo rivendicare con chiarezza il merito davanti agli italiani, senza smettere di spiegarglielo. Se è vero che l’identità e la maturità di ogni soggetto si saldano nei transiti più ardui dell’esistenza, la prova di questa crisi e la sfida del suo superamento possono diventare il vaglio ultimo per l’assestamento definitivo del Pd, in quanto partito del riformismo europeo che si è lasciato con serenità alle spalle ogni residua nostalgia. Il confronto sulle pensioni, sul lavoro, sulle liberalizzazioni, così come la condivisione di un approccio alle grandi questioni dell’Europa, nonostante le apparenze più eclatanti, stanno costituendo una serie di punti fermi metodologici che sono il risultato di un’elaborazione politica da cui non si torna indietro. Lo diciamo, senza albagìa, anche agli amici di Sel che domenica si riuniscono in assemblea. È una scommessa, e come tutte le scommesse non è esente da rischi. Ma da questo tavolo non ci possiamo alzare.
da l’Unità del 20 gennaio 2012