48.5 per cento. Quasi un disoccupato su due, a un anno dalla perdita del lavoro non ne ha ancora trovato un altro
Giovani, senza lavoro e con una scarsa attitudine agli studi. È la fotografia scattata dall’Istat nel rapporto «Noi Italia: 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo». Quello in cui viviamo è un Paese in cui nel 2010 più di 2 milioni di giovani, ovvero 1 su 5 tra 15 e 29 anni, era fuori dal circuito formativo e lavorativo. L’Italia si assicura così un triste primato in ambito Eurozona mentre nella Ue è seconda dietro alla Bulgaria. In gergo statistico si chiamano «Not in Education, Employment or Training», o Neet, senza arte né parte, rassegnati a essere senza lavoro tanto che non lo cercano nemmeno più, la cui incidenza è tornata a crescere a causa della crisi, colpendo di più le donne degli uomini, il Sud rispetto a Centro e Nord. I Neet sono in parte il corollario di un altro fenomeno, l’abbandono degli studi per il quale l’Italia si aggiudica di nuovo un triste primato in ambito europeo. La quota di giovani che ha ha disertato le scuole prima del tempo si aggira intorno al 19%, con una incidenza maggiore tra i maschi rispetto alle femmine. Del resto nel nostro Paese, il 45,2% della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha conseguito come titolo di studio più elevato la licenza di scuola media. Preoccupa anche il mercato del lavoro con il 48,5% dei disoccupati italiani senza un posto da oltre un anno. Dal 2009 al 2010, la disoccupazione di lunga durata, è aumentata del 4% facendoci guadagnare la sesta posizione in ambito europeo, senza contare che la quota di unità di lavoro irregolari è del 12,3%. Nel Mezzogiorno può essere considerato irregolare quasi un lavoratore su cinque e nel settore agricolo circa uno su quattro. Il risultato è che le famiglie in condizioni di povertà relativa sono l’11%, mentre la povertà assoluta coinvolge il 4,6% delle famiglie. Nonostante tutto però l’Italia «ha le potenzialità e le capacità per potercela fare», dice il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, nel corso della conferenza stampa per presentare il dossier e la nuova veste Istat che da questa primavera inizierà a fornire anche previsioni macro sull’Italia. Il timoniere dell’istituto cita dati confortanti, come le esportazioni e la capacità di creare posti di lavoro all’estero da parte delle nostre multinazionali. «Fino a due anni e mezzo fa stavo all’estero – conclude – poi ho deciso di tornare in Italia: o non ho capito niente o credo in questo Paese».
da www.lastampa.it
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“Due milioni non studiano e non lavorano”, di Luisa Grion
Allarme giovani in Italia record di inattivi in Europa ci batte solo la Bulgaria. Rapporto Istat: nel nostro Paese aumentano gli asili nido mentre è in calo la violenza
ROMA – Troppi ragazzi a spasso e troppe giovani donne che ancora non sanno cosa fare della loro vita. Tanti disoccupati che restano al palo per mesi e mesi prima di trovare un´altra occupazione; un 12,3 per cento di lavoratori sommersi che produce e vive completamente «in nero» e una media esorbitante di abbandoni scolastici – quasi il 19 per cento – che ci relega agli ultimi posti della classifica europea. In Italia non tutto è disastroso, qualcosa di buono è rimasto (la capacità di esportare) e su qualcos´altro stiamo migliorando (aumentano gli asili nido e diminuisce la violenza). Ma guardando al ritratto in cento statistiche appena pubblicato dall´Istat due aspetti balzano all´evidenza: il dramma generazionale e i dirompenti effetti della crisi.
UN FUTURO DA NEET
Hanno fra i 15 e i 29 anni, non lavorano, non studiano, non fanno formazione: nel migliore dei casi, quindi, sono a spasso. Si tratta dei Neet (not in education, employment or traing), un fenomeno ormai conosciuto che “Noi Italia”, il rapporto dell´Istat, dà però in netta crescita. Sono oltre due milioni di giovani che si trovano in queste condizioni, il 22,1 per cento del totale (che diventa 24,9 nelle femmine) e la tendenza – dopo una leggera regressione fra il 2005 e il 2009 – è in netta crescita. Peggio di noi, in Europa, fa solo la Bulgaria (media del 23,6 per cento), la Francia si ferma al 14,6, la Germania non arriva all´11. Il dato, letto assieme a quello sulla disoccupazione giovanile (27,8 per cento), lascia pochi dubbi: è da qui che bisogna ripartire, magari puntando all´istruzione. Oltre che per l´alto tasso di abbandono scolastico l´Italia si distingue infatti anche per il basso livello di studi: fra i trenta-trentaquattrenni solo uno su cinque è laureato. Il 19,8 per cento del totale contro una media Ue del 33,6.
LA DISOCCUPAZIONE LUNGA
Se i giovani sono scoraggiati i disoccupati non sono da meno perché, perso un lavoro, per trovarne un altro devono attendere mesi e mesi e non è affatto detto che trovino risposta. In Italia, certifica l´Istat, la disoccupazione di lungo periodo sta aumentando: oltre il 48,5 per cento dei “senza lavoro” resta tale per più di un anno. Se la crisi ha reso le condizioni più difficili per tutti e molti altri Paesi stanno sopra la media del 40 per cento (Germania compresa), in Italia il peggioramento è stato più evidente: fra il 2009 e il 2010 la disoccupazione di lungo periodo è aumentata di oltre quattro punti.
I SOMMERSI
Al dramma del lavoro che non c´è, segnala l´Istat, va aggiunto quello del lavoro nero. In Italia c´è una quota di lavoro irregolare pari al 12,3 per cento. Ma guardando al Sud, ben un occupato su 5 è fuori da ogni regola (uno su 4, limitando l´analisi all´agricoltura). L´economia sommersa, precisa il presidente dell´Istat Enrico Giovannini ,«viene stimata al 17 per cento del Pil, quota che arriva al 20 se non calcoliamo la Pubblica Amministrazione, settore dove praticamente non c´è lavoro nero». Ma in alcuni settori – come alberghi, pubblici servizi (leggi bar) e assistenza alla persona (badanti, lezioni private) – il sommerso arriva al 57 per cento.
da la Repubblica