Lei vorrebbe parlare della crisi del capitalismo? Ma sta scherzando? Se lo facciamo in questo Paese ci mettono in galera». Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università Statale di Milano, ha il gusto della battuta e della polemica culturale. Discutere con lui del default del capitalismo è come andare a una festa a sorpresa, dove ci si può attendere di tutto. Professor Sapelli, anche il Financial Times è preoccupato per le condizioni del capitalismo. Magari è morto e nessuno ci ha avvertito? «Distinguiamo. Il capitalismo neoliberista è fallito, non ci sono dubbi. Il capitalismo tout-court non ancora. Vedremo».
Un requiem per il neoliberismo?
«Sicuramente, anche se molti continuano a far finta di niente. Il capitalismo neoliberista si è dimostrato incapace di procurare sviluppo e benessere. Nei paesi dell’Ocse si contano 250 milioni di disoccupati di cui almeno 60-70 milioni sono disoccupati strutturali, destinati a restare senza lavoro per sempre. È una cosa che fa tremare i polsi perchè parliamo di paesi con sistemi politici democratici ed economie avanzate. Oggi misuriamo il fallimento neoliberista. Un secolo dopo dobbiamo rendere omaggio aRudolf Hilferding che nel suo “Il capitale finanziario” immaginava la prevalenza della finanza sul capitalismo industriale, anche se veniva svillaneggiato da Lenin e Plekhanov».
Oggi siamo in mezzo ai guai per il neoliberismo…
«Certo. Il neoliberismo si è presentato come un megacapitalismo con qualche cosa in più e di peggio: un nichilismo morale di massa che ha alimentato l’ingiustizia, la diseguaglianza sociale».
Data di nascita del capitalismo neoliberista e principali sostenitori-responsabili?
«L’anno è il 1989. Il neoliberismo inizia quando la Securities exchange commission (Sec), la Consob americana, autorizza la libera contrattazione sul mercato dei prodotti derivati, di finanza strutturata. È la svolta, assieme alla nuova disciplina delle banche d’affari e commerciali. Anche in Italia c’è un segnale forte con Amato e Ciampi che mettono in soffitta la legge bancaria del 1936. Inizia la stagione del capitalismo deregolato».
Adesso fuori i nomi.
«Ronald Reagan, la signora Thatcher. Ma storicamente è sbagliato pensare che il neoliberismo sia solo il prodotto di quella destra. La deregulation come ideologia di massa viene perfezionata e divulgata da Bill Clinton e da Romano Prodi. Nessuno può dirsi innocente davanti ai disastri del neoliberismo. L’unico che in Italia comprese il pericolo di quel nichilismo fu Cossiga, uomo della intelligence democristiana».
Il capitalismo ha ancora speranza?
«Il suo futuro è incerto. Io spero in un capitalismo ben temperato, polifonico, che convive con imprese non capitalistiche il cui obiettivo non è massimizzare il profitto, ma garantire il lavoro, la collettività. Ho fiducia nella filosofia dell’impresa cooperativa, nella divisione delle ricchezze nelle piccole comunità».
Ma queste idee non maturano da sole. Ci vorrebbe la politica, non crede?
«Certo. Ma guardiamo la realtà. Le classi politiche del mondo avanzato sono state conquistate o acquistate dal neoliberismo. Non c’è ministro del Tesoro che non sia stato dipendente della Goldman Sachs. In Italia il governo è guidato dall’ex rettore della Bocconi, che dovrebbe salvare la patria. Si rende conto in che condizioni siamo? La Bocconi è portatrice di un’ideologia neoliberista di serie B e Mario Monti è chiamato a fare il guardiano da un capitalismo subalterno, periferico e straccione. Guardi che Gramsci non aveva mica torto quando descriveva il capitalismo italiano».
Allora siamo tutti morti, non c’è più alcuna speranza politica?
«La politica tornerà, è questione di tempo. Credo nelle minoranze, nei piccoli gruppi. Ho fiducia nei movimenti sociali, anche in quelli che sono apparsi all’improvviso in America, nel mondo a contestare il capitalismo, le ingiustizie, l’arricchimento truffaldino. Ci sono alternative. Grandi paesi come il Canada e l’Australia non sono stati coinvolti nella crisi finanziaria perchè hanno forti banche cooperative».
Da dove ripartire?
«Dal basso, con umiltà, imparando dal passato, ascoltando anche gli insegnamenti delle religioni».
La religione?
«Ha un ruolo decisivo. Il buddismo in Asia ha temperato il capitalismo. Potrebbe farlo anche il cattolicesimo, così come l’ebraismo ha avuto un’influenza positiva sull’ideologia dei kibbutz. E anche l’Islam: noi siamo preoccupati per la minaccia dell’integralismo, ma le banche islamiche sono istituzioni serie. Ricorda il famoso discorso di Togliatti a Bergamo? La religione è un potente afflato per la rivoluzione, il cambiamento sociale, la giustizia».
Se il capitalismo è così malmesso perchè la sinistra non rialza la testa?
«Perchè la sinistra ha perso la sua autonomia culturale. Non propone più nulla, qualcuno scimmiotta il neoliberismo e pensa di apparire moderno. Papa Ratzinger dice cose più di sinistra di certi leader del pd. La questione è culturale. Lo sa perchè i signori del Financial Times discutono apertamente del capitalismo e dei suoi limiti?Sono preoccupatissimi di perdere potere e interessi. Sono pronti a tutto per resistere».
E la nostra Europa?
«La mia generazione aveva in mente gli Stati socialisti d’Europa, non questa dei banchieri centrali bastardi o incompetenti. Dipenderà dalla Germania. Spero che la signora Merkel perda le elezioni, così sarà possibile un cambio di stagione. Helmut Schmidt, storico leader socialdemocratico, ha fatto di recente un grande discorso. Ha detto alla Merkel di non dimenticare che la Germania è morta se cammina davanti all’Europa. Ha avvertito che gli altri paesi non seguiranno un passo prussiano, ha chiesto di non svegliare vecchi spettri. La speranza per noi e l’Europa è la vittoria della Spd. Vorrebbe dire che il socialismo ha ancora un senso».
L’Unità 19.01.12