Il ministro “spegne” il beauty contest? Passera non l’ha detto e non lo dice, ma le parole usate ieri per rispondere alle domande sull’assegnazione delle frequenze digitali lasciano intuire che il concorso di bellezza, curiosa procedura inventata dal suo predecessore Paolo Romani, ha i giorni contati.
Potrebbe cadere già domani, quando Passera spiegherà al Consiglio dei ministri «le
decisioni che intende assumere». Sarebbe il giusto epilogo di una “gara senza competizione”, ideata per portare in dote a due soli concorrenti, Rai e Mediaset, i
canali liberati nel passaggio dall’analogico al digitale. Con un dettaglio non trascurabile: perché “l’assegnazione secondo Romani” sarebbe dovuta avvenire
gratuitamente, una dote appunto, un regalo dello Stato ai due principali attori del mercato televisivo, con tanti saluti alla pluralità dell’informazione e al rispetto dei conti. Proprio quest’ultimo, forse, è stato l’argomento che più di tutti ha convinto Monti, tramite Passera, che era giunto il momento di rivedere le decisioni del governo Berlusconi. Perché è difficile, in piena tempesta economica, chiedere di stringere la cinghia da una parte e fare regali dall’altra, soprattutto quando si
tratta di un bene pubblico come l’etere o, come direbbero gli ingegneri, dello spettro
elettromagnetico delle telecomunicazioni.
Tra le frasi pronunciate ieri al question time, c’è un passaggio che non lascia dubbi in proposito: «La procedura del beauty contest è stata prevista in un contesto
economico e sociale molto diverso dall’attuale. Nel momento in cui il governo chiede sacrifici ai cittadini ha il dovere di dimostrare di saper valorizzare al massimo le risorse dello Stato». Non è tempo di regali, insomma. Fa certo piacere scoprire che
buon senso e ragionevolezza non siano più fattori in via d’estinzione, nemmeno in un
settore che sembrava ormai dominio di interessi privati e intoccabili. Detto questo, è bene ricordare che la vicenda non è affatto terminata. Perché non basta annullare il beauty contest: bisogna anche organizzare un’asta pubblica con regole chiare e trasparenti, una gara pulita e aperta da indire entro l’anno e con una base di partenza che attiri il maggior numero di operatori, anziché escluderli come fatto
finora. Perché insieme all’aspetto economico, non trascurabile di questi tempi, sarebbe bene rispettare il principio, troppo a lungo dimenticato, della pluralità
dell’informazione. L’Argentina, nel 2009, lo ha fatto destinando per legge il 30% delle frequenze alle organizzazioni non profit. Ci sono molti altri modi, non vi è
dubbio, e siamo sicuri che a questo governo non mancano le capacità di trovare soluzioni adeguate. L’auspicio è che il passaggio dal beauty contest all’asta pubblica segni anche il primo passo verso una riduzione dell’annoso conflitto di interessi e un allargamento dei soggetti in campo. Perché un’informazione libera e plurale è un bene senza prezzo. Anche in tempo di crisi.
L’Unità 19.01.12