È una vicenda amara, molto amara, anche se non deve portare alla rassegnazione». E poi: «Bisogna essere inflessibili rispetto alle regole e soprattutto circa quelle procedure che premiano il merito». Renato Balduzzi, ministro della Salute, ha raccolto la sollecitazione che è venuta dalla storia che Luigi Agresti, cardiochirurgo di 34 anni, ha raccontato all’Unità. Una storia fatta di speranze e delusioni, di soddisfazioni e di una lunga precarietà che ora, solo andando all’estero, potrà avere uno sbocco.
Un’altra capacità che se ne va. Uno dei mille giovani medici che ogni anno lasciano il Paese perché altrove hanno trovato un’opportunità di lavoro. Una situazione che è conseguenza diretta delle misure di contenimento della spesa pubblica che hanno determinato un innalzamento dell’età media dei medici del Servizio sanitario nazionale e che, negli ultimi tempi, si sta risolvendo in un decremento del loro numero, specialmente nelle Regioni sottoposte a piani di rientro. Le aziende, strette tra i limiti alle assunzioni e la necessità di garantire le prestazioni, sono state costrette a ricorrere a forme di reclutamento atipiche che hanno portato l’aumento del precariato. Se nel 2004 i medici precari erano 3.944, nel 2010 sono arrivati a 7.177 con un incremento del 9 per cento rispetto all’anno precedente. Nel 2010 i medici dipendenti del servizio nazionale sono diminuiti dell’1,3 per cento rispetto al 2009 e nello stesso anno in pensione sono andati, per raggiunti limiti d’età e di contribuzione, in 4.116.
Spiega il ministro: «Il numero dei precari è attualmente superiore a quello fisiologico. È un tema che preoccupa tutti, non solo noi ma anche le Regioni ed è per questo uno degli argomenti centrali dei lavori al tavolo tra Ministero e Regioni per la Programmazione del personale da parte delle aziende «nel medio e nel lungo periodo» facendo i conti con il fatto che attualmente «c’è sicuramente uno squilibrio tra l’offerta e la domanda». Tuttavia, posto che le regole siano state rispettate, «l’apertura dei confini alla professione medica, che ha in sé unavocazione internazionale, non è una sciagura. Anche se il fenomeno cui assistiamo oggi è in
buona parte legato alle difficoltà di reclutamento che incontrano le aziende sanitarie». E che ha conseguenze preoccupanti anche sulla qualità dell’offerta del servizio sanitario. Da una parte può apparire inutile investire su professionalità a cui non si può offrire una situazione stabile, dall’altra gli stessi precari sono condizionati
dal loro status d’incertezza. Non c’è più osmosi tra i più giovani e i più anziani, tra chi sa e chi deve apprendere.
Se questa è la situazione sarà mai possibile fermare questi esodi?
«Ci sono deroghe al blocco del turn over che debbono essere correttamente, ma decisamente utilizzate, per assicurare il necessario ricambio generazione e per offrireun futuro dignitoso ai giovani medici».Ma su questa strada bisognerà ancora lavorare. Anche con nuove norme. Sull’argomento, già approvato dalla Camera,
in discussione al Senato c’è un disegno di legge che affronta il riassetto delle regole per favorire un più stretto legame tra le strutture del servizio sanitario nazionale e i medici in formazione. Quello posto, però, è un problema nel problema dato che la cardiochirurgia è una disciplina di alta specializzazione e rientra, quindi, in un problema storico dovuto a vari fattori il primo dei quali è un’eccessiva offerta formativa, frutto di esigenze più dell’accademia che assistenziali del Paese. «Nell’affrontare la questione dobbiamo tenere conto che facciamo parte dell’Europa e che i nostri medici specialisti devono guardare a questo mercato più ampio, come
d’altra parte ricorda anche il dottor Agresti». Infatti i suoi colleghi, come ha detto all’Unità, sono andati a lavorare in strutture ospedaliere di «Leeds, Norimberga, Edimburgo, Birmingham, Stoccarda…». Questa è una strada che è stata percorsa anche da altre categorie di personale sanitario in un verso e nell’altro: i medici di famiglia italiani che hanno trovato una buona sistemazione in Gran Bretagna, gli infermieri spagnoli che hanno trovato un’occupazione in Italia.
Favorire il rientro delle risorse umane, questa è stata ed è la politica del Ministero. Anche se per il momento la regola è sembrata valere più per la ricerca. «Anche in momenti di particolare difficoltà – ribadisce il ministro – è necessario trovare strumenti per limitare la migrazione a una quota fisiologica e di questo si discute, anche in questi giorni, sempre in sede di rinnovo del Patto per la salute».
L’Unità 18.01.12