Il declassamento del Fondo salva Stati europeo (Efsf) da parte di Standard&Poor´s era scontato ed è una logica conseguenza del taglio inflitto a Francia e Austria, che hanno perso la tripla A grazie alla quale garantivano la massima quotazione del fondo. Come scontato potrebbe essere nell´immediato futuro un downgrading delle banche che detengono i titoli di debito dei nove Paesi europei di cui l´agenzia americana ha tagliato il rating. Quello che sorprende, semmai, è che le altre due “sorelle” americane di S&P, cioè Moody´s e Fitch, non l´abbiano ancora seguita in questa guerra al massacro. E soprattutto che i mercati si siano mostrati per ora relativamente poco reattivi all´ennesima scomunica che da Oltreoceano arriva sulle teste degli europei. In parte questo fenomeno si può spiegare con il fatto che i grandi investitori avevano da tempo anticipato il downgrading della Francia e avevano già portato gli interessi sul debito dei Paesi europei meno solidi a livelli fin troppo elevati. Come ha ricordato il presidente della Bce, Mario Draghi, oggi i rischi dei debiti sovrani europei «sono sovrastimati così come erano sottostimati prima di Lehman Brothers».
Ma c´è anche un´altra spiegazione, che traspare dalle parole che Draghi ha usato ieri davanti al Parlamento europeo, e non è una spiegazione rassicurante. Il presidente della Bce ha ricordato che la crisi, definita «sistemica» dal suo predecessore Jean Claude Trichet in ottobre, «da allora è peggiorata. Ci troviamo in una situazione molto grave e non dobbiamo nasconderlo». Il fatto, ha spiegato Draghi, è che «la fragilità´ dei mercati del debito sovrano non e´ solo europea ma mondiale».
E questo è uno degli aspetti spesso trascurati del problema. Nell´anno che si è appena aperto, secondo le stime del Fmi, i governi mondiali avranno bisogno di prendere a prestito dai mercati più di undicimila miliardi di dollari. I debiti europei in scadenza ammontano a meno di millequattrocento miliardi. Una cifra enorme, ma è un´inezia se confrontata agli oltre 4.700 degli Usa e agli oltre tremila del Giappone. La crisi del debito pubblico europeo è dunque solo una faccia di una crisi globale. E se la disomogeneità della Ue la rende più drammatica, con Paesi super penalizzati come l´Italia e Paesi come la Germania che arrivano a piazzare i loro titoli a interessi addirittura negativi, non per questo gli altri giganti dell´economia super indebitati possono dormire sonni tranquilli.
Siamo, insomma, di fronte ad una vera e propria «guerra mondiale dei debiti» per accaparrarsi i finanziamenti necessari. Oggi è l´Europa, o quantomeno alcuni Paesi europei, che stenta a piazzare i propri bond ed è costretta a pagare interessi esorbitanti. Ma se l´euro dovesse resistere alla tempesta e, grazie anche al Trattato sul consolidamento delle finanze, l´Europa potesse aggiustare i propri conti pubblici, finirebbe inevitabilmente per attrarre capitali che verrebbero sottratti al finanziamento del debito di altri Paesi. Da qui l´interesse di alcune piazze finanziarie a speculare sull´instabilità della moneta unica.
In questa guerra, sarebbe illusorio pensare che le agenzie di rating possano restare perfettamente neutrali. Con una durezza mai vista finora, ieri il commissario europeo agli affari economici e monetari, Olli Rehn, ha accusato senza mezzi termini le “tre sorelle” americane: « bisogna ricordare che le agenzie di rating non sono arbitri oggettivi o istituti di ricerca imparziali, ma che hanno i loro propri interessi e agiscono molto secondo i termini del capitalismo finanziario americano».
E, sempre ieri, lo stesso Draghi ha insistito sulla necessità che occorra ormai «imparare a fare a meno» del rating delle agenzie «o, quantomeno, dovremmo imparare a valutare il valore del credito considerando le agenzie una delle tante componenti di questa informazione, non dovremmo dipendere completamente da loro».
La strada per arrivare a questo obiettivo è comunque lunga. Oggi il rating delle agenzie americane è ancora considerato un vangelo non solo da molti grandi investitori privati, ma anche da molte istituzioni pubbliche europee. Non a caso i governi dell´eurogruppo siano già affannosamente al lavoro per vedere come aumentare le garanzie e restituire al fondo salva stati la tripla A perduta. Riuscire ad emanciparsi dalla valutazione delle agenzie americane, come auspicano apertamente tutti i leader europei, in un mondo dominato dal pensiero unico del capitalismo, sarebbe una autentica rivoluzione culturale. Ma le guerre, si sa, facilitano le rivoluzioni. E la guerra del debito è già cominciata.
La Repubblica 17.01.12
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Il Professore: “Servono mille miliardi”, di ALBERTO D´ARGENIO
«Per salvare l´euro bisogna mettere sul piatto mille miliardi». Sono passati solo tre giorni dal declassamento di mezza Europa da parte di Standard&Poor´s, mancano poche ore dal bis che colpirà il fondo salva Stati provvisorio dell´Unione europea (Efsf). Nel chiuso di Palazzo Chigi il presidente del Consiglio europeo, Hermann Van Rompuy, pronuncia la frase che Mario Monti voleva ascoltare. Il premier annuisce, poi chiede di più: il trilione di euro è il minimo per mettere in piedi il fondo permanente europeo che sarà varato a luglio (Esm), ma bisogna anche dargli «una licenza bancaria». Solo così avrà la forza di salvare la divisa comune. L´annullamento della trilaterale del 20 gennaio per mano di Sarkozy non modifica la strategia di Palazzo Chigi. Monti sente al telefono sia il presidente francese – che lo rassicura sul fatto che non intende defilarsi dalla scena europea, sulla quale hanno punti di vista convergenti – sia la Merkel. Si decide che il vertice di Roma sarà recuperato a febbraio e nel frattempo si andrà avanti con una conference call tra i tre e poi con una riunione a Bruxelles la mattina del 30 gennaio, giorno del vertice europeo dedicato al Trattato con le nuove regole sul rigore dei conti voluto da Berlino.
Per questo Monti prosegue nel lavoro di persuasione sulla Merkel. Al Financial Times dice che la Germania deve fare di più per aiutare l´Italia a far scendere lo spread, il rigore non basta. La strategia che ha in mente per incassare il risultato la illustra a Van Rompuy, ricevuto in mattinata. Vista l´impossibilità di cambiare lo statuto della Bce regalandole i poteri della Fed americana e assodato che la strada per gli Eurobond è ancora lunga, si punta tutto sull´Esm. Che per l´Italia dovrà agire come un vero e proprio “Fondo monetario europeo”.
I tecnici a Roma sono al lavoro per disegnarne l´identikit da presentare poi ai partner e a Bruxelles. Dotazione di almeno 1000 miliardi rispetto ai 500 attualmente previsti, una governance più credibile abolendo i diritti di veto con lo stop all´unanimità su decisioni che vanno prese in poche ore. E soprattutto farlo agire come una banca, facendolo operare «in collegamento» con la Bce o dotandolo di una «licenza bancaria». «Solo così – spiega il responsabile Ue del Pd Sandro Gozi – possiamo dare ai mercati il chiaro segnale che nella zona euro non fallirà nessuno». Oltretutto con 1000 miliardi e un metodo operativo da istituto di credito, l´Esm potrebbe arrivare a raccogliere fino a 3000 miliardi, cifra necessaria per far capire agli investitori che l´Europa sarebbe in grado di salvare Italia e Spagna contemporaneamente e ridare così fiducia a chi oggi si tiene alla larga dalla moneta unica per paura di un suo crollo (facendo salire lo spread). Una strategia ambiziosa in parte rinfrancata dall´apertura arrivata mercoledì scorso dalla Merkel che dopo l´incontro con Monti a Berlino si è detta pronta a dare più soldi all´Esm. Su questo il governo punta a un ulteriore passo avanti nel summit Ue del 30.
In parallelo Monti lavora al capitolo crescita, essenziale per salvare il Paese e l´euro. Se in casa prepara la “fase due”, in Europa punta a far inserire nelle conclusioni del vertice di fine mese il mandato a Barroso, presidente della Commissione, a scrivere le direttive che completerebbero il mercato interno a suon di liberalizzazioni e abbattimento dei protezionismi nazionali. Conscio che in parallelo Francia e Germania stanno preparando un documento comune sulla crescita da presentare a Bruxelles a marzo.
Di questo Monti ha parlato anche ai leader della maggioranza a pranzo. Alfano, Bersani e Casini danno l´ok a presentare una mozione unica che sarà votata il 25 gennaio per dare forza ai negoziati europei di Monti, ma prima di mettersi d´accordo hanno qualche schermaglia. Se Alfano chiede di inserire nel testo un riconoscimento al lavoro di Berlusconi, condizione irricevibile per gli altri due, Monti boccia il suggerimento di brandire il veto al vertice del 30 gennaio se non otterrà quello che chiede su crescita e Esm: «Evitiamo di farlo, la minaccia di veto è abusata e controproducente, se poi c´è da impuntarsi lo farò». Una conferma del metodo di chi in Europa preferisce preparare nel dettaglio – insieme al ministro Enzo Moavero – bilaterali e vertici piuttosto che fare annunci roboanti. Intanto Monti si accontenterebbe di coinvolgere tutti i partiti sulla mozione del Parlamento italiano. Così il Pd si incarica di trattare con l´Idv e il Pdl, ambasciatore sarà Frattini, con la Lega. Ma i margini di riuscita sono minimi.
La Repubblica 17.01.12