La decisione di CGIL,CISL e UIL di elaborare una piattaforma unitaria in vista dell’imminente confronto con il Governo, attraverso la riunione congiunta delle segreterie confederali come non avveniva da molto tempo, segna un significativo sviluppo della convergenza tra le maggiori organizzazioni sindacali, sempre auspicata dal PD, e rappresenta il miglior viatico per una trattativa che possa portare in tempi brevi, a scelte condivise, all’altezza dell’emergenza occupazionale che il paese sta vivendo e di cui ci sono tutte le ragioni per temere l’aggravamento nei prossimi mesi.
Nell’intento di contribuire a questo approdo e senza mettere in forse il ruolo di primo piano che in questo campo spetta alle parti sociali, il Forum Lavoro ha voluto nei giorni scorsi puntualizzare gli orientamenti del PD sulla base delle deliberazioni dell’Assemblea Nazionale del maggio 2010 e delle conclusioni della Conferenza di Genova del giugno 2011 nonché delle numerose proposte presentate in sede parlamentare.
Lo ha fatto con il duplice obiettivo di creare nuova occupazione specie per i giovani e le donne (sono noti in proposito i nostri differenziali con le medie europee) e di rendere il mercato del lavoro italiano certo più dinamico e meno diseguale ma allo stesso tempo più sicuro. Obiettivi questi che si intrecciano tra loro e che vanno sicuramente perseguiti nell’ottica della “flexicurity” europea avendo ben presente però che nel nostro paese la flessibilità si è tradotta fin qui in una insopportabile precarizzazione dei rapporti di lavoro, in particolare per le giovani generazioni, e che quindi un riequilibrio è necessario innanzitutto sul versante della “security”.
Muovere in queste direzioni significa adottare una pluralità di misure volte, in via prioritaria, a: ridurre drasticamente le tipologie contrattuali atipiche anche eliminando gli attuali vantaggi di costo per le imprese in modo da favorire i rapporti di lavoro a tempo indeterminato; estendere l’utilizzo del contratto di apprendistato come canale di primo ingresso dei giovani al lavoro potenziando gli incentivi per la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato; prevedere per le figure deboli del mercato del lavoro il ricorso ad un contratto di inserimento particolarmente agevolato; sostenere l’occupazione femminile incentivando il part-time, aumentando i servizi per conciliare lavoro e maternità e le detrazioni fiscali per i reddito delle lavoratrici con figli; avviare sulla base della delega legislativa del 2007 la riforma in senso universalistico della cassa integrazione e dell’indennità di disoccupazione; potenziare le politiche attive del mercato del lavoro, della formazione, della riqualificazione e della ricollocazione professionale.
Resta invece fuori dall’orizzonte del PD come del resto dell’intero movimento sindacale ogni ipotesi di rimessa in discussione dell’art 18 dello Statuto dei lavoratori. Non certo per una impuntatura nominalistica e tanto meno ideologica quanto sulla base della constatazione che non esistono prove empiriche che dimostrino una evidente correlazione positiva tra la riduzione delle protezioni per i licenziamenti e l’aumento delle assunzioni.
Non è senza significato che indagini recenti anche di fonte imprenditoriale non segnalino questo tra gli ostacoli rilevanti per nuovi investimenti.
D’altra parte la stessa richiesta della Banca centrale europea relativa alla revisione delle regole sull’ingresso e sull’uscita dal lavoro è strettamente collegata all’esistenza di un impianto adeguato di ammortizzatori sociali e di politiche attive del lavoro, condizione questa che è ancora lungi dal realizzarsi nel nostro paese. In altri termini l’art 18 non è il primo problema da affrontare (tanto meno nell’ attuale situazione del mercato del lavoro) ma, semmai, l’ultimo, a valle di un complessivo ridisegno delle tutele del lavoro.
Non si tratta del resto di un’anomalia italiana come si usa dire dato che l’istituto del reintegro sul posto di lavoro esiste anche in altri ordinamenti sia pure con modalità applicative diversificate. Caso mai è sul versante della riforma del processo del lavoro che si dovrebbe intervenire fin d’ora per dare maggiori certezze sia alle imprese che ai lavoratori.
Da ultimo ma non per ultimo è importante sottolineare che la creazione di maggiore e migliore occupazione dipende in primo luogo da una ripresa dello sviluppo e che quindi le riforme del mercato del lavoro, a cui si accingono Governo e parti sociali, sono solo una componente delle politiche che è urgente mettere in atto per promuovere una nuova stagione di crescita dell’economia italiana. Il che giustifica pienamente la richiesta dei sindacati che anche di questo si discuta al tavolo del confronto.
Emilio Gabaglio – Forum lavoro Pd
L’Unità 17.01.12