L’attuale governo può piacere o meno, ma una cosa è certa: se non vince la battaglia del debito, il Cavaliere scatenerà una massiccia campagna demagogica anti-euro con cui può riprendere il potere l’anno prossimo . Dall’irlandese Cowen allo spagnolo Zapatero, dal portoghese Sócrates, al greco Papandreu, per finire a Berlusconi, la crisi del debito sovrano sta falcidiando i capi dei governi dei paesi coinvolti. Poco importa se di destra o di sinistra, chi governa quando arriva la crisi ne paga le conseguenze.
Uno studio empirico presentato lo scorso fine settimana ai meeting dell’American Economic Association ci dice che queste conseguenze erano facilmente prevedibili. Contrariamente all’opinione prevalente, le crisi finanziarie sono frequenti. Nel periodo 1975-2010 nei 70 principali paesi al mondo ci sono state 448 crisi bancarie e 488 crisi del debito: in media ogni paese ha una crisi bancaria ogni sei anni e una crisi del debito ogni sette. Gli autori sono stati in grado di isolare alcune interessanti regolarità sulle conseguenze politiche delle varie crisi.
Dopo una generica crisi finanziaria, il partito di maggioranza perde in media il 6 per cento dei consensi. A questa perdita si associa in genere una frammentazione del voto, sia nella coalizione di maggioranza sia in quella di minoranza, che rende i governi meno stabili e le riforme più difficili. In questo terremoto elettorale post crisi a perdere sono solitamente i partiti di centro, mentre guadagnano gli estremisti, sia di destra sia di sinistra. Questa radicalizzazione della politica, che vediamo sia negli Stati Uniti sia in Italia, rende più difficile qualsiasi riforma, proprio nel momento in cui un paese ha il maggior bisogno di riforme.
Ma l’effetto è molto diverso a seconda del tipo di crisi. Dopo le crisi bancarie ad aumentare è l’estremismo di destra, mentre dopo le crisi debitorie a guadagnare consensi è la sinistra radicale. Il motivo è molto semplice. Le crisi bancarie tendono a concludersi con una nazionalizzazione delle banche.
L’Espresso 14.01.12
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“”Ministri politici nei posti chiave” Berlusconi studia un rimpasto”, di Francesco Bei
Gli indecisi balzati al record del 43% mentre per il Popolo della libertà crollo al 23,5%. L´idea di un governo di unità nazionale, governo tecnico-politico guidato da Monti
Un Monti-bis «con alcuni politici di peso in settori chiave». Per dare una spinta maggiore al governo e non subirne passivamente le decisioni come è stato finora. Da qualche giorno il Cavaliere è tornato alla casella di partenza, a quell´ipotesi di un governo «tecnico-politico» che resistette appena 48 ore durante le trattative per la formazione del gabinetto Monti. Naufragata allora per il veto del Pd a impegnarsi in una formazione insieme a Gianni Letta o altri ex ministri di Berlusconi come Frattini e Fitto, nelle ultime ore è lo scenario che il Cavaliere sta soppesando attentamente con alcuni consiglieri del primo livello.
Berlusconi è infatti allarmatissimo per il crollo generale di fiducia degli elettori nel sistema dei partiti. Un “downgrading” che (per ora) colpisce il Pdl più di altri. Alla cena romana per i vent´anni del Tg5, due sere fa, l´ex premier ha mostrato al tavolo presidenziale l´ultimo sondaggio riservato di Alessandra Ghisleri. Un quadro drammatico su cui spiccavano due cifre: la percentuale di «indecisi», schizzata al record del 43%, e il crollo del Pdl al 23,5%. Una situazione che impone un cambio di passo. Davanti a Berlusconi, spiega allora uno dei suoi consiglieri più stretti, si distendono tre opzioni. La prima è non fare niente, continuare a sostenere Monti sperando che la crisi finanziaria si attenui. Con il rischio che la curva del consenso del Pdl continui a precipitare verso il basso, sempre più vicina alla soglia psicologica del 20%, «sotto la quale sarebbe il fuggi-fuggi generale». Arrivare in questo modo alle elezioni del 2013 sarebbe un suicidio garantito. E lascerebbe campo libero alle nuove formazioni che banchetteranno sulle spoglie del centrodestra berlusconiano.
La seconda scelta è dunque quella di prendere la palla al balzo: provocare la crisi di governo con qualsiasi pretesto, a partire dal no alle «liberalizzazioni fatte solo contro le categorie che guardano ancora al centrodestra, dai professionisti ai tassisti». Il vantaggio sarebbe la certezza di una rinnovata alleanza con Bossi. Si andrebbe a votare a fine maggio-giugno. Ma ci sarebbe il rischio concreto che la crisi italiana si avviti ancora di più verso la Grecia e, del resto, la stessa Standard&Poor´s ha ieri messo in guardia che «se il governo tecnocratico» dovesse saltare sarebbe inevitabile un ulteriore declassamento che porterebbe il rating del paese al livello «junk», cioè spazzatura. E l´ultima cosa che Berlusconi può permettersi è vedersi gettare nuovamente la croce addosso, essere dipinto come l´irresponsabile» Nerone che appicca il fuoco alla città. La tentazione c´è ma il Cavaliere ha ben presente il costo politico di una crisi di governo per cacciare Monti. «Alla Camera su Cosentino – ha spiegato alla festa del Tg5 – l´altro giorno abbiamo dimostrato di avere sempre noi la maggioranza. E lo stesso è al Senato. Con quei 309 voti pensate se mi presentassi da Napolitano e gli dicessi: eccomi qua, caccia Monti che voglio tornare io a palazzo Chigi. Oppure portaci al voto». Ma «era solo una battuta» e Berlusconi è stato il primo a specificarlo agli attoniti interlocutori.
Ecco dunque affacciarsi di nuovo la terza ipotesi, quella di partenza. Una crisi di governo e un rimpasto sostanziale che consenta la nascita di un Monti-bis. Governo di unità nazionale, governo «tecnico-politico» guidato sempre da Monti, ma con un rapporto stretto con i partiti. Che manderebbero i loro rappresentanti a palazzo Chigi per «metterci la faccia». Per prendersi anche i vantaggi del sostegno all´esecutivo, mentre finora gli elettori hanno premiato Monti nei sondaggi e punito chi ne sostiene in Parlamento l´azione. Si arriverebbe in questo modo alla scadenza naturale della legislatura e la politica potrebbe risalire dall´abisso di sfiducia in cui è precipitata. L´altro valore aggiunto del progetto Monti-bis è che, ridimensionando alcuni dei tecnici che il Cavaliere sospetta abbiano ambizioni politiche, toglierebbe anche ossigeno alle operazioni neocentriste «alla Todi». E non è un mistero quanto il Pdl tenga sotto osservazione speciale le mosse dei ministri Corrado Passera, Andrea Riccardi e Lorenzo Ornaghi.
Per Berlusconi la vera incognita di questo scenario è il rapporto con Bossi. Per un pelo il Cavaliere è riuscito a riagganciare il Senatùr nel voto su Cosentino, di fatto emarginando Maroni, il leader degli anti-berlusconiani padani. Dar vita a una maggioranza politica con Pd e Terzo polo sancirebbe invece una rottura irreparabile con la Lega, per di più alla vigilia delle amministrative. L´unica alternativa sarebbe dunque quella di irretire Bossi, di coinvolgerlo nell´operazione Monti-bis. Magari promettendogli in cambio un sostegno per l´approvazione degli ultimi decreti sul federalismo. Di questi decreti infatti il nuovo governo si è fatto un´opinione pessima. Il ministro che ha aperto i cassetti di Calderoli si è messo le mani nei capelli: «Sono tecnicamente fatti con i piedi». Quel cassetto è stato richiuso e non c´è alcuna fretta di riaprirlo.
La Repubblica 15.01.12