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"Chiediamo più Europa", di David Sassoli

Ci sono momenti in cui è bene sorvolare sulle contraddizioni degli avversari e far finta che siano frutto di una vera conversione. In questi casi è bene accontentarsi dei buoni propositi e delle convergenze ottenute. Con i regali di Natale, anche il centrodestra italiano ha scoperto l’importanza della tassa sulle transazioni finanziarie. L’ultima volta che sono stato ospite da Bruno Vespa, un esponente del Pdl mi accusò di voler aggiungere una nuova imposta nel carnet dei cittadini, non sapendo che non è una tassa che pagano i cittadini ma le società finanziarie.
La nuova consapevolezza espressa dall’ex ministro Frattini giovedì alla camera è un salto di qualità nella comprensione che gli strumenti a disposizione non sono tanti e, a questo punto, sono obbligati. Le nazioni in difficoltà hanno bisogno di risorse e non ci sono molti modi per racimolarle.
E dello stesso grano ha bisogno l’Europa per crescere e riprendere la competizione globale. La strada è a senso unico: tassa sulle transazioni finanziarie per alimentare il bilancio dell’Unione, project bond per gli investimenti, Eurobond per finanziare il debito. Senza risorse non potrà essere raggiunto equilibrio fra stabilità e crescita. E neppure si potrà alleggerire il peso della crisi sulle fasce sociali più deboli. Tutti gli indicatori segnalano un prepotente ritorno del dramma della povertà nell’agenda politica.
Non ci sono solo i dati nazionali, come l’Istat e la Caritas dimostrano. In tutta Europa la povera gente aumenta come mai era avvenuto. Politiche europee, dunque, sono indispensabili per non abbandonare un tratto distintivo dell’identità comunitaria. Il welfare non va penalizzato, ma rafforzato. E allo stesso tempo è urgente una regolamentazione dei mercati finanziari per evitare che si ripetano i motivi che hanno portato alla grave crisi economica. Senza risorse, comunque, non sarà possibile cambiare rotta. Prendere atto che il centrodestra italiano non manifesta più chiusure preconcette è molto rilevante. D’altronde, già nel parlamento europeo l’intesa fra i gruppi progressisti (Socialisti & democratici e Liberaldemocratici) e il Partito popolare europeo sulle modifiche al trattato intergovernativo ha segnalato una convergenza sui modi per affrontare la crisi. La strada sappiamo quanto sia ripida e quante resistenze vi siano da parte del consiglio europeo e della Germania, ma la consapevolezza delle grandi famiglie politiche europee potrà consentire margini di manovra a quei governi che, senza tanti giri di parole, sono consapevoli che da questa fase l’Europa può farcela insieme altrimenti nessuno uscirà dalla crisi. Per farlo è necessario aggiungere strumenti di governo all’unione monetaria. Senza una politica economica e fiscale, il castello europeo non avrà torri di avvistamento, ponte levatoio, fossato e scuderie. Sarà indifeso e indifendibile. Abbandonarlo sarebbe una decisione irresponsabile. Ma il castello non può essere ristrutturato qua e là. Servono visione e progetto.
Oggi a Milano ne parleremo con importanti leader dei gruppi parlamentari europei. Accanto al difficile lavoro del presidente Monti, di mettere in sicurezza l’Italia e l’Unione, c’è anche la necessità di cominciare subito a pensare all’eredità che lasceremo alle generazioni future. Gli Stati Uniti d’Europa devono essere l’orizzonte del nostro impegno. Alcuni strumenti per coinvolgere l’opinione pubblica europea ci sono e occorre utilizzarli. Il trattato di Lisbona consente ai cittadini, tramite una petizione firmata da un milione di persone di almeno sette paesi, di invitare la commissione europea a presentare una proposta legislativa. La crisi impone ai progressisti di non rassegnarsi. E se da un lato abbiamo un parlamento eletto dai cittadini che lavora con spirito comunitario, dall’altro vi sono governi che non rinunciano per motivi elettorali interni ad alimentare sfiducia nell’Europa. Una grande mobilitazione di cittadini è necessaria per far vivere la democrazia europea.

da Europa Quotidiano 14.01.12