"La parabola del cattivo", di Massimo Gramellini
Da noi funziona così. All’inizio sei Francesco Maria De Vito Piscicelli, imprenditore con faccia comica o crudele, dipende dalla foto, e vieni intercettato al telefono mentre ridacchi del terremoto dell’Aquila propiziatore di appalti. Diventi l’orco, il cattivo per antonomasia, il simbolo della cricca di affaristi che si disputa le briciole più grosse del banchetto della politica. Ti viene l’ulcera, finisci per qualche tempo in galera, poi cerchi di farti dimenticare, ma rovini tutto atterrando con l’elicottero sulla spiaggia di Ansedonia per portare la mamma a mangiare il pesce. Cominci impercettibilmente a spostarti verso la redenzione: diventi un pentito e inguai un sottosegretario dallo sguardo triste e dal cognome Malinconico, confessando di avergli pagato il conto di un albergo da signori al solo scopo di compiacere un amico. Smessi i panni dell’orco, inizi il percorso di avvicinamento al ruolo più ambito: quello della vittima. Rilasci interviste dove ti dipingi come un onesto lavoratore spremuto da gente senza scrupoli, «non le dico la volgarità delle richieste, i ricatti». Un brav’uomo a cui hanno tolto tutto: gli appalti, …