L’ Italia di Mario Monti piace alla Germania; la bozza di trattato europeo in discussione non appare più minacciosa. La giornata di ieri è da segnare all’attivo per il nostro governo e il nostro Paese. Eppure l’uscita dalla crisi dell’euro resta lontana; i piccoli passi della diplomazia rischiano di essere sopravanzati non solo dalla velocità con cui i mercati si convincono di future catastrofi, ma anche dalla lentezza gregaria con cui la massa degli investitori si accorge delle inversioni di tendenza.
Monti in parole povere è andato a dire ad Angela Merkel che capisce benissimo l’ostinazione dei tedeschi nel pretendere rigore ed efficienza dagli altri Paesi dell’area euro, anche a costo di lasciarli a lungo affacciati sull’orlo del baratro. Ma ha anche ammonito a non spingere troppo oltre questo gioco d’azzardo. Ha provato a spiegare qual è, secondo lui, il limite di resistenza dell’Italia.
In questi giorni sono in molti a suggerire alla Germania di imparare dalla propria storia. Ad aprire la strada ad Adolf Hitler non fu l’iperinflazione del 1923 che distrusse i risparmi della classe media; fu l’austerità di massa del 1930-32, salari tagliati e posti di lavoro cancellati. Perlopiù i tedeschi tendono a vedere la seconda come conseguenza della prima e di fattori esterni al loro Paese. Solo pochi, come il novantenne ex cancelliere Helmut Schmidt, incitano a riflettere meglio.
Non è facile rimontare la china della sfiducia, se ancora molti in Germania (circa metà di quelli che hanno risposto ieri a un sondaggio online del Financial Times Deutschland ) e molti nel mondo sono convinti che «nemmeno Monti riuscirà a salvare l’Italia». Ed è purtroppo possibile che il fatidico spread sui titoli a 10 anni resti ancora a lungo sugli attuali livelli. Ma più la tensione si manterrà, più l’Italia rischia di infossarsi in una recessione grave, con possibili ondate di reazione populista.
Per scampare ai pericoli occorre non solo fare per tempo le mosse giuste, ma farle nella sequenza giusta, come ha detto qualche settimana fa Mario Draghi. L’annuncio della Merkel sul maggiore contributo tedesco al Fondo di salvataggio europeo consente un minimo di speranza; si tratta tuttavia di un progresso lento, ancora nella logica di cui sopra.
Vanno interpretate con attenzione alcune parole di Monti ieri: «Ci aspettiamo dall’Europa, di cui l’Italia fa parte, la messa a punto di meccanismi che facilitino la trasformazione di buone politiche in tassi di interesse più ragionevoli». Non c’è solo un invito ai mercati a rendersi conto che l’Italia non è più a rischio come due mesi fa. C’è anche l’idea che i mercati – dove è assurdo che l’Italia paghi il 7% così come che la Germania, profittando della sfiducia negli altri, si finanzi «sottocosto» al 2% – vanno aiutati a funzionare meglio dalle iniziative delle istituzioni. Innanzitutto, dall’Unione europea, ovvero dalle istituzioni politiche.
In parte l’ostacolo è la Germania, in parte è la Francia, e all’Italia non converrebbe gettare il suo peso relativamente modesto da uno dei due lati. Con garbo ieri Monti ha ricordato ai due governi l’errore di Deauville nell’ottobre 2010, quando il vertice franco-tedesco compì scelte subito giudicate disastrose dalla Bce, e presto rivelatesi tali. Occorre procedere attraverso le istituzioni collettive dell’Europa, «rispettandole».
Concluso il nuovo Patto sulle regole di bilancio, occorre potenziare gli strumenti di soccorso (l’Efsf, e l’Esm che gli succederà) facendo probabilmente molto di più di quanto fatto fino adesso. Solo così, poggiando su queste garanzie, potrebbe avviarsi l’ingranaggio finale del «meccanismo», ossia più massicci interventi della Bce sui mercati dei titoli; per ora di questo ai tedeschi è bene non parlare, ma è lì che è inevitabile arrivare.
La Stampa 12.01.12
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“Lo spiraglio tedesco”, di ANDREA BONANNI
Le lodi sperticate della cancelliera Merkel all´operato del governo Monti («ha fatto cose straordinarie») non sono di circostanza. Danno l´idea di quanto grande fosse in Europa la paura di un tracollo finanziario dell´Italia, e di quanto profondo sia il sollievo di vedere il Paese finalmente governato in modo responsabile.
Ma i complimenti della signora Merkel e il ritrovato rispetto dell´Italia sulla scena internazionale non bastano a salvare il Paese. E probabilmente neppure a salvare l´euro.
Il risanamento dei conti pubblici e il rilancio della crescita economica restano un miraggio se saremo costretti a pagare il denaro necessario a finanziare il nostre debito, e ad alimentare le nostre imprese, cinque o sei volte più caro di quello che lo pagano i tedeschi. Ha dunque perfettamente ragione il presidente del Consiglio quando dice che l´Italia ha fatto la sua parte, ma che ora tocca all´Europa calmare i mercati in modo che lo spread innaturalmente alto degli interessi italiani si riduca a dimensioni ragionevoli. Da questo punto di vista, la vera battaglia del Professore è solo all´inizio, e si presenta tutta in salita.
Ieri, infatti, dall´incontro con la Cancelliera, Monti ha portato a casa qualche risultato, ma ancora insufficiente a permetterci di dormire sonni tranquilli. I fronti europei su cui il governo italiano deve combattere sono due. Da una parte c´è la formulazione del nuovo Trattato di Unione economica rafforzata, che fissa le regole di una più stretta disciplina di bilancio ma che non deve essere talmente duro da strangolare l´economia del Paese avvitandoci in una spirale negativa come è successo per la Grecia. Dall´altra c´è l´urgente necessità che l´Europa offra garanzie ai mercati sulla tenuta dell´euro, in modo da consentire ai capitali di tornare a investire anche in Italia e non solo nei Paesi virtuosi del Nord Europa, così da ridurre lo spread e da fornire ossigeno alle imprese.
Sul fronte del Trattato, il governo italiano ha ottenuto qualche vittoria. O, meglio, ha saputo scongiurare alcune minacce che avrebbero potuto rivelarsi letali.
La nuova formulazione su cui si discute offre margini di ragionevole elasticità nei ritmi imposti alla riduzione del debito pubblico. Promette di tenere in considerazione i “fattori rilevanti”, come la solidità del sistema pensionistico e la scarsa esposizione debitoria delle famiglie. Concede un anno di proroga, fino al 2014, prima di imporre un taglio del cinque per cento annuo sulla parte eccedente il 60 per cento del Pil. Consente di tenere in conto una assai probabile recessione economica. Allontana lo spettro di sanzioni automatiche se la riduzione del debito non dovesse raggiungere gli obiettivi prefissati. In sostanza, non si ottengono ulteriori facilitazioni ma si torna alla formulazione prevista dalla normativa comunitaria, scongiurando gli inasprimenti che erano stati chiesti dalla Germania.
Sul fronte delle misure europee per garantire i mercati, invece, i progressi per ora sono veramente scarsi. Francia e Italia sembrano incapaci di superare i veti tedeschi. Appare abbandonata l´idea di trasformare la Bce in prestatore di ultima istanza che garantisca i debiti dei governi, anche se l´Istituto di Francoforte ha dato un enorme contributo finanziando a tassi ridottissimi il boccheggiante sistema bancario europeo. Altrettanto impercorribile, almeno nel prevedibile futuro, è anche l´idea degli euro-bond. La condivisione di almeno una quota del debito sovrano accumulato dai governi europei non avrebbe forse risolto tutti i problemi dei Paesi più esposti, ma avrebbe dato ai mercati quel segnale sulla irreversibilità della moneta comune che da due anni gli investitori stanno chiedendo invano.
Resta sul tavolo l´ipotesi di un rafforzamento del fondo salva stati, su cui la Germania avrebbe dato segnali di disponibilità e che potrebbe veder coinvolto in un ruolo più significativo anche il Fondo monetario internazionale. Non è un caso che la presidente del Fmi abbia incontrato in questi giorni sia la Merkel sia Sarkozy.
Il rafforzamento del Fondo è, in sé, una notizia rassicurante. Ma la creazione di un Fondo monetario europeo, per quanto forte, per quanto flessibile e dotato di una grande “potenza di fuoco”, non è di per sé garanzia della irreversibilità della moneta unica. Il Fondo è uno strumento di solidarietà, ma si tratta di una solidarietà necessariamente quantificata e limitata che inevitabilmente sfida i mercati a saggiarne la resistenza. Oggi, per ridurre lo spread, gli investitori hanno bisogno di garanzie concrete che l´euro sopravviverà alla tempesta e che sarà ancora la moneta unica europea tra dieci o venti anni. Per ora, la Germania questa garanzia non la vuole dare se non a parole. Ma le belle parole della signora Merkel, anche quelle generosamente rivolte all´Italia di Monti, difficilmente ci toglieranno dai guai.
La Repubblica 12.01.12