Il presidente Monti ha lanciato l’allarme di un pericolo populista incombente. È reale il rischio paventato o è solo un espediente retorico? Purtroppo la soluzione populista alla crisi (europea) è una eventualità molto forte che solo una grande classe politica può scongiurare. È miope, per chi occupa una responsabilità di governo, non segnalare in modo esplicito le gravi tendenze degenerative in atto. Ci sono elevate probabilità che la crisi sociale spazzi via i soggetti e anche taluni istituti classici del panorama continentale.
Lasciando stare l’Ungheria, o altri analoghi processi regressivi da tempo in corso all’est, è ancora politica quella che esiste in Grecia? E anche in Spagna a che livello versa la competizione democratica? La crisi economica, questo è il punto, ha strapazzato il senso e il richiamo evocativo delle distinzioni cruciali proprie della politica.
L’impotenza del governo, e quindi il tracollo delle stesse polarizzazioni destra-sinistra che si registra nel vortice dell’emergenza, si origina dalla abissale asimmetria tra lo spazio della decisione concesso agli esecutivi (rigore nazionale) e l’ambito (almeno europeo) delle dinamiche economiche e finanziarie. La mancanza di una Europa politica, capace di coprire con il volto della sovranità l’effige debole della moneta, divora e uccide la politica nazionale che appare sempre più come un gioco sterile nel risolvere la crisi. Anche il rigore più duro e i sacrifici più stoici saranno stritolati per la loro manifesta inattitudine a rispondere a problemi che scavalcano il singolo paese scovato con i conti in difficoltà. Portogallo, Grecia, Spagna, cioè tre paesi a guida socialista, sono stati travolti dalla crisi. Sarebbe sbagliato accentuare il rilievo politico dei ricambi avvenuti. Non opera più in quei paesi, anche in caso di cambi della guardia, una vera alternanza di governo. L’emergenza ha essiccato la politica.
La sostituzione di una classe politica è meccanica, non obbedisce alla fisiologia del ricambio ma alla patologia di una crisi non gestibile che miete vittime simboliche colpendo alla cieca qualsiasi sia il colore dei governi. È evidente che il fattore di blocco e di inasprimento della crisi si chiama cecità delle grandi potenze europee guidate dalle destre. Per paesi ormai in bilico, che vengono da anni di vani e iniqui tentativi di risanamento, non può durare all’infinito la capacità di assorbire i salassi di una politica del rigore e dei sacrifici imposti senza tangibili risultati. Sono incalcolabili i processi di risentimento e di angoscia che nascono in un paese sempre più ineguale che vede ad ogni manovra seguire un’altra manovra, ancora più pesante della precedente e purtroppo meno efficace della vecchia, ancora non assorbita, e pure della prossima, già in cantiere.
L’emergenza economica è un male oscuro insidioso e crudele per i cittadini lasciati alla disperazione ma non è impossibile da curare se solo si adottasse una prospettiva europea di contenimento delle speculazioni, di sostegno della moneta. La emergenza politica è invece molto più contagiosa e ingovernabile perché un virus inattaccabile ha minato la capacità degli Stati di assorbire le tensioni e di creare coesione e fiducia. Con la sua ottusità rigorista che ignora le ineguaglianze, l’Europa sta scavando la fossa alla politica, cioè alla capacità di curare gli squilibri, le ansie, le alienazioni di ceti sociali impoveriti. Le destre stanno creando un cimitero della democrazia e lo chiamano risanamento strutturale. Non può durare a lungo però una situazione di perdita di status che vede tramutare la politica in una perfida cassandra che infrange i progetti di vita. Negli anelli più deboli dell’Europa, l’angoscia di masse senza prospettive e tutele evoca passaggi oscuri. La stessa Germania farebbe male a trascurare i segni di anomia, per ora annunciati da movimenti giocosi, ma pur sempre rivelatori di ansia, come quello dei pirati, stimati all’8 per cento. La decadenza democratica minaccia la tenuta del laboratorio europeo come città della coesione.
Le potenze europee che si ergono a sentinelle del sacrificio rendono vane le ginnastiche elettorali chiamate solo a imporre tagli e tasse a cittadini attoniti dinanzi a misure ingiuste. A livello europeo si pone ormai la sfida per il recupero di prestigio della politica. Una lotta santa contro il debito ostacola la crescita e produce oscure infatuazioni populiste in ceti che danno sfogo al risentimento ribellista. Solo un’altra Europa, dell’inclusione e della crescita, potrebbe inaugurare una stagione diversa e restituire un principio di speranza. I mercati e le destre ottuse stanno uccidendo la democrazia e vanno adunando in ogni posto le forze sterminatrici del populismo autoritario, tocca alle sinistre rigenerarla, restituirle un senso ora appassito.
L’Unità 12.01.12