La giornata di ieri ci ha regalato un meraviglioso spaccato di come è intesa nel nostro Paese la questione morale. Dunque: in nome appunto della questione morale, la Lega Nord ha votato a favore dell’arresto del deputato del Pdl Nicola Cosentino, che la Lega stessa aveva fino a pochi mesi fa più volte salvato dall’arresto medesimo in nome della battaglia contro il moralismo giustizialista.
Sempre ieri, nella Lega che votava a favore dell’arresto di Cosentino si discuteva dell’un po’ imbarazzante caso del suo segretario amministrativo Francesco Belsito. Costui è un signore di cui fino all’altro giorno si sapevano solo due cose: che portava le focacce liguri alle riunioni di via Bellerio e che aveva millantato due lauree mai conseguite. Niente di male, nemmeno i falsi titoli di studio, visto che Belsito milita in un partito guidato da un ex finto medico, quindi tutto torna.
Ora però si è scoperto che Belsito ha preso svariati milioni di euro dalle casse del partito e li ha investiti non in Padania, bensì in Tanzania, a Cipro e in Norvegia. Passi per la Norvegia e forse anche per Cipro: ma la Tanzania i militanti proprio non la mandano giù. E così nel partito è scoppiata una rivolta.
Tuttavia non è neppure l’investimento all’estero a colpire. Colpisce piuttosto l’atteggiamento dei vertici leghisti. Nello stesso giorno – ripetiamo – in cui la Lega vota per l’arresto di Cosentino, i suoi dirigenti tacciono o fanno spallucce per il caso-Belsito. Intervistato dalla Rai, Roberto Castelli (che è stato ministro della Giustizia) ha risposto testualmente così: «Sono problemi interni al partito, non capisco che cosa ve ne debba fregare a voi». Ora, a parte la sintassi padana, andrebbe sottolineato che i soldi investiti in Tanzania vengono dai rimborsi elettorali (che la Lega ha incassato per 140 milioni solo negli ultimi dieci anni, ringraziando Roma ladrona) e quindi sono denaro pubblico; così come un personaggio pubblico è Belsito, sottosegretario di un ministero fino a due mesi fa.
Al di là dei casi specifici, quel che emerge è il ripetersi di un vecchio vizio: la questione morale viene agitata solo quando e se fa comodo. La Lega delle origini applaudiva le inchieste di Di Pietro perché le spianavano la strada. Poi s’è alleata a Berlusconi e allora guai a dar retta a quei giacobini dei magistrati: era pronta perfino a difendere i parlamentari del Sud accusati di mafia o camorra. Adesso è tornata all’opposizione e vuole riapparire limpida e pura ai propri elettori, così dice di sì all’arresto di Cosentino; però della Tanzania non si capisce bene che cosa ce ne debba fregare a noi.
La grande assente non è solo la coerenza: è anche la buona fede. Non è – sia chiaro – solo la Lega a comportarsi così. Parliamo della Lega perché alla Lega si riferiscono le vicende di ieri: ma sono in molti a prendere posizione sulle inchieste e sugli scandali solo in funzione di un calcolo di parte. Infatti è caduta anche qualsiasi oggettività nella valutazione dei fatti, e ogni cosa è grave o lieve a seconda di quel che conviene: nei giorni scorsi gli stessi che hanno difeso i milionari nullatenenti di Cortina si sono scandalizzati per un cotechino a Palazzo Chigi, per giunta pagato dalla sciura Elsa.
Insomma siamo un Paese di garantisti o giustizialisti a corrente alternata, a seconda di come butta.
La Stampa 11.01.12